Eros mistico: Kamasutra, gli insegnamenti segreti della tradizione indù
Manuale d’amore
Il Kamasutra è un antico testo indiano solitamente attribuito a Vatsyayana, un filosofo vissuto nell’odierno Bihar, ben diciotto secoli or sono. Molti credono che quest’opera sia un semplice manuale erotico, dove vengono descritte con immagini eloquenti le varie tecniche dell’ ars amatoria. In realtà il Kamasutra è molto più di questo, difatti solo una piccola porzione del testo è dedicata alle famose posizioni dell’amore, mentre il resto tratta aspetti differenti della vita intima di singoli e coppie. Il Kamasutra include riflessioni su temi tutt’oggi di grande interesse come il ruolo del piacere nell’equilibrio psicofisico, le strategie di seduzione e i “trucchi” per mantenere vivo il desiderio anche dopo anni di matrimonio.
La corrente di pensiero che ha dato origine al Kamasutra è molto antica e risale addirittura alle Upanishad. Ad essa s’ispirano anche le dottrine esoteriche del Tantra, la letteratura epica della Bhagavata Purana e le sculture sessualmente esplicite del tempio Khajuraho, nel Madhya Pradesh. L’interesse dell’Induismo per la sessualità suscita in noi “moderni” sentimenti a dir poco contrastanti: da una parte rimaniamo sbigottiti al pensiero che il sesso possa essere accostato al sacro, dall’altra ci entusiasmiamo per l’apertura mentale di un popolo che non aveva paura di esplorare il corpo e considerava il piacere un’esperienza mistica.
Tuttavia, per capire davvero il senso del Kamasutra non possiamo fermarci all’aspetto erotico. Nella cultura indù, infatti, la filosofia dell’amore era una delle tre principali scienze umane, insieme allo studio della religione e alla strategia politica. Il Kamasutra, pur concentrandosi su uno soltanto di questi temi, non perde mai di vista gli altri, proponendosi di fornire al lettore consigli utili per trovare un equilibrio tra i vari aspetti della vita.
In questo trattato la sessualità è considerata un aspetto fondamentale dell’esistenza e lo studio dei fattori che innescano le passioni, fornisce al lettore la “ricetta” per un’esperienza intima ed emotiva perfetta. Secondo l’autore del Kamasutra, infatti, l’essere umano ha il preciso dovere di perseguire un’armonica realizzazione di sé, senza trascurare alcun aspetto della propria vita. Affinché ciò sia possibile egli deve curare con pari attenzione i quattro ambiti fondamentali dell’esistenza: il dharma (i doveri morali), l’artha (il benessere fisico ed economico), kama (il piacere e l’amore) e infine moksa (la liberazione dal samsara). In un certo senso potremmo interpretare questi quattro aspetti del vivere (purusharta) come i pilastri di una vera e propria “cultura del benessere”, che nella tradizione indù dipende dal sottile equilibrio di corpo, mente e anima. Il messaggio fondamentale del Kamasutra è semplice: il desiderio è l’espressione più pura della nostra vitalità, non possiamo reprimerlo e tanto meno abbandonarlo a sé stesso. La vera saggezza, quella su cui si fonda un’esistenza sana e appagante, è la capacità di vivere pianamente il piacere senza danneggiare corpo e spirito.
Curiosità: il Kamasutra era un testo consigliato non soltanto agli uomini, ma anche alle promesse spose e alle ragazze in età da marito. Attraverso lo studio delle 64 posizioni dell’amore, le donne potevano soddisfare meglio il futuro sposo e scoprire allo stesso tempo i desideri e le inclinazioni della propria personalità.
Il risveglio del serpente
Benché l’Induismo - come del resto anche il Buddismo - abbia riconosciuto la natura potenzialmente pericolosa del desiderio, non ha mai condannato questo sentimento. Al contrario, ne ha sempre sottolineato la forza poietica, arrivando addirittura a venerarla. Per l’intera tradizione orientale, infatti, il problema non è il piacere, semmai l’attaccamento a soddisfazioni effimere. La cultura indiana ha sempre incoraggiato l’uomo a godere i piaceri della vita e del proprio corpo, imparando però ad abbandonarli senza rimpianti al momento opportuno.
Curiosità: il settimo libro del Kamasutra è dedicato al sesso esoterico, cioè all’uso di unguenti, erbe e addirittura ricette magiche capaci di stimolare l’eccitazione e il raggiungimento del piacere.
Fin dalle origini la figura mitologica di Kama, il dio del desiderio, ha occupato un ruolo di primo piano nella letteratura indù. Nei Veda, per esempio è descritto come una forza universale, capace di suscitare nello stesso Brahma l’impulso alla creazione. Al tempo degli inni vedici e delle prime Upanishad, il desiderio era considerato la causa prima della differenziazione dei fenomeni dall’Uno e gli antichi testi lo dipingevano come una potenza senza tempo che agiva sulla mente degli uomini dall’esterno. Con la maturazione del pensiero filosofico indiano l’analisi delle passioni è divenuta sempre più psicologica: Kama è stato interpretato allora come un’energia psicofisica, la più importante e la più profonda tra le forze che muovono la psiche. Nel periodo classico il desiderio era considerato la causa di ogni azione e per questo motivo rappresentava un elemento chiave del processo karmico, cioè la perpetrazione del ciclo delle rinascite. In altre parole si riteneva che fosse compito della coscienza riconoscere le pulsioni e indirizzarle nel modo più utile al perseguimento della vera felicità, quella che trascende la momentanea soddisfazione dell’ego individuale. A ben vedere la cultura indiana strizza l’occhio a concetti assai moderni come quelli di appropriazione e sublimazione, che solo con l’avvento della psicoanalisi hanno fatto breccia nella mentalità occidentale. La nostra società, infatti, ha sempre considerato il desiderio come un pericolo e una mancanza piuttosto che una possibilità, impiegando secoli per apprezzarne gli aspetti positivi.
In India, al contrario, desiderio e sessualità sono sempre stati considerati espressione di un’energia primordiale che mette in comunicazione macrocosmo e microcosmo. Il tantra addirittura celebra il potere creativo della sessualità, proponendosi di sfruttarne l’energia attraverso pratiche altamente ritualizzate. Probabilmente suonerà deludente alle orecchie dei più libertini, ma il vero scopo delle tecniche utilizzate in questa scuola non è il piacere, bensì la capacità di stimolare l’eccitazione, considerata una forza vivificante che agisce da interruttore per il risveglio della Kundalini.
Curiosità: anche nel Taoismo esistono delle pratiche per canalizzare e trasformare l’energia sessuale. In alcuni testi cinesi si spiega che l’orgasmo dissipa l’energia (Qi); quest’ultima, invece, andrebbe trattenuta nel corpo e riconvogliata verso altri organi e funzioni. Le analogie tra certe pratiche taoiste e il Kundalini Yoga sono sorprendenti, ancorché poco note.
La potenza dell’orgasmo è stata un argomento assai dibattuto in Occidente, soprattutto nel secolo scorso; in particolare Wilhelm Reich, un allievo di Freud, riteneva che la repressione delle energie sessuali potesse creare rigidità fisiche che si riflettevano in inibizioni del comportamento. Egli definiva questi fenomeni “armatura caratteriale” ed era convinto che solo coinvolgendo il corpo nel processo terapeutico, sarebbe stato possibile liberare le energie bloccate. Reich nel corso delle sue analisi cercava d’individuare le rigidità che pervadevano non solo il fisico, ma l’intero essere del paziente, ritenendole il segno d’una difesa contro sentimenti negativi associati all’espressione dell’intimità.
Secondo lui, infatti, quando le esperienze di vita causano una soppressione del desiderio, l’unica alternativa possibile è trattenere tutto dentro sé stessi, chiudendosi all’esperienza. Il suo metodo terapeutico, antesignano della moderna bioenergetica, era progettato per aiutare i pazienti a superare i blocchi muscolari che impedivano loro di sperimentare la forza liberatoria del piacere, assolutamente centrale per la salute psichica.
Curiosità: in molte culture dell’Asia sono diffuse sculture erotiche che raffigurano diverse divinità impegnate nell’atto sessuale. Nel Tantra, molto spesso gli dei coinvolti sono Bhairava e Kali: il primo è simbolo della conoscenza, mentre la sensuale dea Kali rappresenta l’energia dell’universo. Il loro amplesso è espressione del ricongiungimento dell’umano e del divino, obiettivo comune del Tantra e dello Yoga.
Non solo per Reich, ma per l’intera psicologia occidentale è un dato di fatto che nel corpo si esprimono le tensioni dell’animo e nella sessualità quelle del rapporto. La tradizione orientale era consapevole di questo fatto già molti secoli fa, tuttavia il suo obiettivo principale non è stato la liberazione sessuale, bensì lo sforzo di dar vita ad un’alchimia delle energie coinvolte nell’eccitazione e nel piacere. Il Tantra è sicuramente l’esempio più noto a noi occidentali di simili pratiche. Questa scuola cerca d’indirizzare la forza creatrice che è in ognuno di noi (il desiderio) verso obiettivi di natura spirituale, in primo luogo l’accesso a nuovi stati di coscienza.
Nell’iconografia indù e buddista - splendida quella tibetana - l’unione amorosa delle divinità rappresenta proprio l’intento di coniugare saggezza intellettuale ed energia fisica, aprendosi ad una nuova dimensione del vivere. Un antico detto indù recita: “nella via tantrica il godimento diventa yoga, il vizio diventa virtù e il mondo - altrimenti considerato causa della schiavitù - diviene un mezzo per la liberazione”. In conclusione la riflessione indiana sulla sessualità ci svela che il desiderio non manca di nulla: è una forza primordiale e positiva, capace di creare quel che prima non esisteva. Sta a ognuno di noi saperla sfruttare nel modo più corretto per raggiungere non soltanto la soddisfazione fisica ma anche la realizzazione del Sé.