Cos'è lo Zen Naikan?
Lo zen naikan porta a chi lo pratica un benessere armonico, una gioia continua, il più fermo aiuto alla guarigione e incoraggia la più alta realizzazione spirituale.
“Quando si impara ad essere quieti e semplici, privi di tormenti, l’energia ancestrale si conforma spontaneamente a ciò producendo una energia-qi integra e pervadente[1]. Se questa energia è tenuta all’interno come potrebbe venirmi una malattia? Il punto è di tenere questa energia-qi all’interno, pervadendo e dando supporto all’intero corpo[2] cosicché fra i 360 punti e gli 84.000 pori non vi sia l’ampiezza di un capello che ne sia privo. Sappi che questo è il segreto per conservare la vita.”
Hakuin zenji
Lo zen naikan è un dono che proviene dal buddhismo zen della scuola rinzai, da monaci e laici dediti alla realizzazione della forza dello spirito, della mente, dell’energia e del corpo.
Mentre a causa della mentalità materialista si sviluppano protesi tecnologiche esterne a noi, lo zen naikan ci incoraggia a fare di noi stessi ardore, forza, conoscenza sorgiva e libertà.
Lo zen naikan ebbe storicamente diverse sorgenti all’interno dell’alveo rinzai e ancora oggi in Cina abbiamo esempi di questo insegnamento di zen dinamico; la parola naikan fu usata specificatamente dal Maestro Hakuin Ekaku, solo tre secoli fa, per definire un metodo di coltivazione dell’energia associato a un nuovo concetto di pratica meditativa dinamica e adatta sia ai laici, che svolgono vita attiva nella società, che ai monaci praticanti.
All’età di diciotto anni, nel 1977, ebbi l’onore di essere accolto a sanzen - nella stanza segreta dove vengono dibattuti i koan - dal Maestro Luigi Mario Engaku Taino nel tempio zenshinji, e così fui accolto due anni dopo a sanzen anche dal Maestro Yamada Mumon; fu proprio in questo luogo che ebbi l’esperienza palese di cosa potesse essere la forza del dantien resa manifesta in un uomo ottantenne, peraltro malato fin dalla giovinezza. Tutti ricordano il Maestro Mumon per la sua energia inesauribile, nonostante avesse un solo polmone funzionante, e di quanta potenza esprimesse con il suo ki-tentai, cioè con l’estrinsecazione del suo qi[3].
Certamente è grazie alla forza che il Maestro Mumon sapeva manifestare, oltre che alle sue doti umane e alla sua apertura mentale, che divenne sia il reggente della scuola rinzai in Giappone (Rinzai shu), il preside dell’Università Imperiale Hanazono[4] oltre che - fatti ai miei occhi più importanti – essere il primo Maestro di zen a dialogare con l’Occidente e col mondo cristiano, ma anche capace di accogliere quei primi occidentali che chiesero di entrare nel training monastico; e tutto ciò mentre il Maestro Mumon diventava un celebrato calligrafo oltre che un riferimento per il mondo laico contemporaneo giapponese.
Praticando e studiando i metodi dello zen sia della scuola rinzai (línjì), che della scuola soto (caodong), oltre che di vajrayana e dzogchen, ho iniziato ad apprezzare l’ingegno di Hakuin, il quale seppe leggere nei sutra tradizionali mahayana insegnamenti subliminali codificati in un fitto intreccio di simboli; su questo tema il lettore potrà, per esempio, consultare la terza parte dell’ Orategama, dove viene accennato un significato profondo del titolo “Sutra del Loto” e dove, in una lettera, trasmette tale insegnamento a una monaca della scuola nichiren. Hakuin ha certamente praticato meditazioni che stimolarono grandemente non solo la sua vitalità, ma anche il suo ingegno.
Questo è il destino del nostro libro, porgere ai praticanti di oggi quei metodi, ben commentati e spiegati nella loro applicazione, presentandone una introduzione operativa con opportune tecniche prese dalla tradizione sia cinese che giapponese dello zen, una propedeutica e dei possibili, ulteriori sviluppi che rispettino l’impulso dato da Hakuin; l’insegnamento di Hakuin, in certi casi, risulta completo nel suo svolgimento, ma sovente sembra appena abbozzato, certamente sperando che l’intensità dei monaci zen votati all’ascesi intuitiva tipica del rinzai, ne avrebbe realizzato senza indugi la completa comprensione.
Il naikan – storicamente - risulta avere tre qualità:
- facilitare la comprensione della pratica zen sia ai monaci che ai laici,
- guarire i monaci dalla malattia zen – zenbyo - che si manfesta nell’innalzamento del calore e nello sprofondamento dell’elemento acqua,
- allungare, guarire e facilitare l’esistrenza
Sottolineamo ancora che, da quanto narra Hakuin, il naikan fu insegnato anche ai laici, fatto che ci incoraggia a non voler mantenere in questo libro un segreto che nemmeno Hakuin volle occultare ma, come ci ha consigliato il Dalai Lama[5], a offrire a chi è pronto l’occasione di sviluppare se stesso.
Un migliore noi stessi è un mondo migliore.
Il contenuto di questo libro, nel corso di due anni, ha finito per entusiasmarmi e stupirmi. La cosa più importante è proseguire a leggere, sempre, anche nel caso che non si capisca; è meglio avere pazienza e fare uso degli esercizi, così che tu possa gradualmente penetrare il segreto nascosto in questo insegnamento. Ne vale la pena; a questo proposito prometto che, aiutato dai miei Allievi avanzati, risponderò a tutte le vostre domande online.
Lo zen naikan - praticato dai monaci zen cinesi e giapponesi - è una forma di ascesi yoghica
- della mente, dato che opera assieme con visualizzazioni e col respiro,
- dell’energia, andando a incentivare gli scorrimenti dell’energia emotivo/nervosa/pranica e della forza respiratoria/bioelettrica/qi,
- del corpo, dato che usa movimenti e respirazioni particolari, permettendo così lo sviluppo della Forza Bioelettrica e Staminale. Per spiegare usando termini già noti a molti, lo zen naikan riassume l’essenza dello yoga lavorando con i cinque prāṇa, e l’essenza del qigong, lavorando col jing e col qi per realizzare lo shen[6].
L’aggettivo staminale definisce il principio germinale e costitutivo degli organismi viventi di ogni regno, dal vegetale all’animale, fino all’uomo; l’etimo Staminale evoca nei suoi radicali derivati dalla lingua greca e latina qualcosa di strutturale e ancestrale, evocando i concetti di “stare”, di “struttura portante”, di “fulcro” e di “filo”. La cellula staminale può essere realmente considerata un primordiale fulcro, una struttura o il filo del tessuto della vita, così come la tensione bioelettrica è un fulcro ed è, nel suo scorrimento, il filo energetico che sta alla base della vita e del nostro benessere muovendo ogni funzione nella cellula, nei tessuti e negli organi.
Aggiungiamo che le ultime ricerche scientifiche a riguardo del “sistema nervoso extrapiramidale”, del “sistema nervoso enterico”, della “epigenetica” e la formulazione del concetto di “resilienza” non fanno che riconfermare secondo l’approccio scientista contemporaneo, la correttezza dei principi che informano l’antico metodo naikan.
Possiamo certamente affermare che il naikan sviluppa la nostra capacità immunitaria - ovvero adattogena - e che è una tecnica di rapido impiego con la quale si possono realizzare quei fatti tangibili comunemente definiti “miracoli” di cui sono stato testimone ogni giorno della mia vita; certamente queste esperienze servono per incoraggiarci ma non devono in alcun modo distrarci dalla ricerca interiore quanto, piuttosto, nutrirla aprendoci allo stupore in modo innocente e responsabile.
Su questo bisogna riflettere per capire dove siamo, in che tempo viviamo, e di come abbiamo tutti bisogno – prima o poi - di sincerarci del mistero e di come la sua azione respiri nel nostro quotidiano. In altri tempi – non migliori o peggiori di oggi – questa percezione era connaturata nel genere umano benchè l’umanità fosse più ingenua e più istintuale.
Ai monaci zen dei tempi andati veniva insegnato – come procedura standard - che gli stati di estasi o la manifestazione di “poteri” o finanche i “pensieri” fossero makyo, cioè “demoni”; così si tagliava corto per evitare gli errori più pericolosi e gravi, mentre oggi una simile affermazione potrebbe essere indebita perciò esagerata e finanche colpevole, proprio oggi quando l’incapacità di generare estasi o forza psichica e magnetica può esporci a tutte quelle malattie date da un tempo affollato, complessissimo e dove, al contrario del passato, tutto sarebbe monitorato, veloce e maniacalmente under-control.
Questo errore non è compreso da chi ancora conserva la forza istintuale dei nostri antenati ma che è stato irretito dalla nuova religione scientifica, che gli permette d’identificarsi in un mondo più libero, alfabetizzato e colto, quanto evidente per i sensi e libero dall’oscurantismo fideistico del passato; ma essendo che la scienza, come la religione, è fenomeno di massa ecco che per i più è un’esperienza identitaria quanto standardizzata che non ha niente a che vedere cogli alti ideali delle menti davvero più aperte e possibiliste; è così che si aderisce in massa a quel bisogno di identità che ci costringe ad applicare la nostra fede su scoperte, assunti e teorie, le stesse che domani verranno rigettate come infondate se non sciocche o, per giunta, criminali.
Questo è come si auto-tradisce il mandato dei ricercatori della famosa verità, sia religiosi che scientifici; dal punto di vista dello zen, invece, il disinteresse per la verità è definitivo. Il buddhismo lavora con la realtà, e la realtà va soltanto riconosciuta aderendo a ciò che è per come è, quindi su di un piano che è al contempo pre-verbale, quanto fruibile; ciò accade nel silenzio, ascoltando e rinvenendo il luogo in cui scaturisce ogni conoscenza, il momento raramente raggiunto dal genio sia religioso che scientifico nelle sue accensioni di gloria, e raramente riconosciuto, in quanto pura genialità al di fuori delle attese del tempo storico. Il buddhismo ha, in genere, questa possibilità unica: non permette a nessuno di impugnare la verità, né un’idea qualsivoglia che possa avvicinarsi a un simile teorema. E questo resta un principio inamovibile anche se in ogni secolo qualcuno c’ha provato a contrattarne gli estremi. Perfino il buddhismo amidista, che è salvifico, è un metodo e in questi termini si esprime nei confronti dei fideles che, perciò, sono anche corresponsabili di tale salvazione per via di un metodo, concetto del tutto alieno alle religioni monoteiste.
In particolare per lo zen, il metodo ben applicato ci pone nella realizzazione che tuttavia si compie solo nel momento in cui ci si abbandona all’evidenza del reale.
E l’evidenza - che il buddhismo considera innata - precede ogni concetto, è il silenzio stesso della meditazione; grazie a ciò il buddhismo ci insegna a vedere tutto comprendendolo per come è, in modo nudo e silente, senza intromissione di ideazione-idealismo-ideologia. Il buddhismo attuato è una religione innata che non attende le rivelazioni di chicchessia; una religione dalla quale si può comprendere la fisica quantistica o le altre religioni e certamente ammirarle, senza tuttavia che il buddhismo possa essere compreso da chi non si alleni a quella forma estrema, inaspettata e continuata di libertà chiamata “meditazione”, e a incontrare quegli individui incollocabili e abissali definiti “Maestri”.
Il naikan di cui parliamo in questo documento introduttivo non è il naikan ideato da Yoshimoto Ishin - di cui abbiamo certamente rispetto - ma è l’addestramento alchemico insegnato da millenni nella scuola rinzai dello zen, rinvenibile chiaramente nell’insegnamento del quinto patriarca cinese Hóngrěn, e poi, al tempo di Rinzai e – per evidente volontà sua o dei suoi discendenti – rappresentato nella figura del Maestro Pǔhuà; tale continuum lo possiamo riconoscere in due momenti storici di grande influenza della scuola rinzai sulla casta guerriera e, infine, in Hakuin Ekaku. Di quest’ultimo Maestro, vero cardine della tradizione rinzai giapponese, riportiamo i due testi relativi al naikan; in tempi più vicini ritroviamo il naikan in Kōno Daikei e in Kawaguchi Ekai. Quest’ultimo fu il Maestro di Yamada Mumon Roshi, a sua volta Maestro di Engaku Taino e quindi mio. Quindi questo insegnamento ci deriva direttamente in linea ininterrotta dal Maestro Hakuin Ekaku, che la riscoperse grazie alla sua erudizione incontenibile.
Fra i principali studi sui temi sopraelencati, relativi alla scuola rinzai, vi sono le ricerche realizzate da parte di prestigiosi studiosi presso l’Università Hanazono – diretta lungamente da Mumon Roshi – e anche studi e testi in lingue occidentali[7].
Un appunto sulla traslitterazione dei nomi in lingua cinese o giapponese. Abbiamo scelto:
- di usare per i nomi di persona, di luogo o di dharma, nel testo che ho scritto la translitterazione pinyin – quella tipica accademica oggi in uso,
- di lasciare la traslitterazione dal cinese che era usata nello Yasenkanna e nell’Itsumadegusa da noi tradotti dall’inglese, rispettivamente, di Waddel e Legget, e di Yampolsky, i quali hanno messo i nomi più noti nella versione comune disaccentata, e quelli meno noti in Wade-Giles (es. Chuang Tzu, Chih-i),
- di usare sovente il termine zen anche per dire chán, semplificando così il discorso, come è comune anche nei saggi accademici sull’argomento.
Note:
[1] La produzione del qi forte e migliore - grazie all’integrità dell’energia ancestrale (jing) - è dovuto in questo caso alla quiete dinamica indotta dalla meditazione, nella quale si realizza il satori. Hakuin specifica che il termine meditazione debba intendersi non solo come quietismo o mera pratica mentale (zazen + koan = rikan), ma anche con una vita attiva e grazie al potere che ha la meditazione yoghica zen di “distillare l’elisir” (naikan) e quindi di mettere in gioco le potenzialità innate del praticante.
[2] L’energia mantenuta in ogni punto e poro del corpo non è un modo di dire aleatorio, ma è argomento dell’esercizio 19.
[3] L’energia bioelettrica è in cinese chiamata “qi” mentre questo stesso ideogramma è letto in giapponese “ki”
[4] Yamada Mumon si dissociò completamente dall’ideologia ipernazionalista di uno dei suoi Maestri, Seise’tsu Ghenshõ, in tempi non sospetti; ma questo non ha frenato la foga del solito detrattore che, nulla sapendo della maniera riservata con la quale i giapponesi esprimono dissenso, nemmeno si è informato del fatto che il Maestro Mumon fu considerato da molti in Giappone come un pacifista e antagonista.
[5] Vedi il capitolo sull’Ottava Sorgente.
[6] Jing = forza genetica e nutritizia / qi = forza bioelettrica / shen = potenza spirituale. Il prāṇa è secondo lo yoga l’energia che innerva il sistema raggiungendo il corpo denso attraverso l’immaginazione (psico-soma) e le secrezioni endocrine; possiamo definire il livello dell’energia pranica come biomagnetico. Il qi è invece l’energia che, secondo la tradizione cinese, scorre sulla superficie corporea e nei tessuti interni legandosi alle “funzioni” dei diversi organi; quindi il qi è già ancorato al corpo denso, che rigonfia di forza bioelettrica come il vento la vela. Più avanti preciseremo la natura di questi due livelli dell’energia, alla fine del testo c’è un allegato che espone di questi due piani dell’energia.
[7] Akizuki Ryūmin, Yanagida Seizan, Iriya Yoshitaka, Daisetz Teitaro Suzuki. Paul Demiéville, Gregory e Daniel Getz, T. Griffith Foulk, Peter Gregory, Chi-chiang Huang e Ding-hwa Hsieh, Whalen Lai, Lewis Lancaster, Trevor Legget, Miriam Levering, Ruth Fuller Sasaki, Morten Schlütter, Philip Boas Yampolsky, Burton Watson.
Leonardo Anfolsi