Dottor Stefano Montanari, nanoparticelle, salute, vaccini Fontana Editore

Dottor Stefano Montanari, nanoparticelle, salute, vaccini

Leonardo Anfolsi

Leonardo Anfolsi intervista il Dott. Stefano Montanari:
Ho avuto occasione di incontrare in diverse occasioni il Dott. Stefano Montanari, un uomo di scienza e ricerca, estremamente preparato e disponibile al confronto.

Lui e sua moglie, la Dott.ssa Antonietta Gatti, dirigono un’azienda di consulenze tecniche e scientifiche (www.nanodiagnostics.it), un’eccellenza italiana nel mondo, un’avanguardia unica nella specifica ricerca di cui si occupa, essendo operativamente un laboratorio specializzato nel rinvenire nanoparticelle e nel ricercarne ragione, un eventuale uso e idearne una possibile progettazione.

Sul sito del suo presidio si dice che Nanodiagnostics “è un laboratorio di diagnostica e di ricerca che si occupa di nanopatologie, ovvero di patologie indotte da esposizioni a polveri con dimensioni inferiori a 0,1 micron”. Quindi, mi corregga se mi sbaglio, il vostro è un presidio medico dove privati, ospedali, medici, come anche organizzazioni governative o sovra governative, possono rivolgersi per avere delle analisi su presenze di polveri in alimenti e medicine - quindi anche i vaccini - come anche avere analisi che riguardino la presenza di dette sostanze nel sangue o nei liquidi corporei.

Quale è la vostra storia al riguardo?

Per prima cosa, anche se pochi italiani lo sanno, noi siamo gli scopritori delle nanopatologie, cioè delle malattie provocate da micro e nano polveri inorganiche catturate dall’organismo. Attraverso un metodo di microscopia elettronica, ideato da mia moglie e validato grazie a due progetti di ricerca europei che lei ideò e diresse, noi siamo in grado di fotografare e analizzare chimicamente quelle particelle in qualunque matrice: tessuti biologici, alimenti, oggetti della più vara natura, aria, acqua, farmaci e, naturalmente, tra i farmaci, anche i vaccini. Ai vaccini arrivammo una quindicina di anni fa quando l’università tedesca di Mainz ci chiese di analizzare un loro vaccino e, insieme, le biopsie del ponfo duro e dolorante che si formava al punto d’iniezione. Quanto a “chi” si può rivolgere a noi, chiunque lo può fare.

Assistiamo a un continuo fenomeno di debunking, a una continua accusa di “bufala” fra fideoscientisti-provax e freevax che riguarda dati relativi alla composizione dei vaccini che appaiono molto differenti, come differente è la spiegazione a riguardo del perché una certa sostanza è trovata nei vaccini; com’è possibile questo?

Noi facciamo ciò che siamo capaci di fare: cercare le particelle. E particelle le troviamo nei vaccini. Nessuno dei personaggi che, attraverso Internet, si spacciano per esperti, ha fatto ciò che qualunque scienziato deve inevitabilmente fare, se vuole controllare o, ancor di più, smentire un risultato: deve rifare le stesse analisi. Il dato di fatto è che nessuno di quelli ha presentato un solo risultato proprio, rifacendosi a qualcosa di raccattato in rete. Come chiunque può constatare, su Internet si trova tutto e il contrario di tutto e, dunque, si può dimostrare qualunque cosa se si prende per buono quello che fa comodo e si trascura il resto.

A riguardo della suddetta “guerra dei dati” fra fideoscientisti e freevax, quali secondo voi sono i dati reali delle reazioni avverse ai vaccini secondo la vostra intuizione e esperienza derivata dalla vostro lavoro di laboratorio?

Noi non possiamo altro che ascoltare chi si rivolge a noi raccontandoci le reazioni avverse da vaccini rimediate dai propri figli. E sono parecchi. Recentemente siamo stati in USA, a Pittsburgh, dove, nel corso di un evento sui vaccini, è stato riferito che le reazioni avverse che si verificano in America sono segnalate tra l’1 e il 10% dei casi, a seconda dei diversi stati che compongono la federazione. In Italia direi che siamo più o meno a metà: un 5-6% ad essere ottimisti. Dunque, le statistiche sono fatte su dati a dir poco pesantemente incompleti.

Leggendo il curriculum della Dott.ssa Antonietta Gatti, sua collaboratrice e moglie, si rimane sorpresi dei suoi riconoscimenti internazionali e del vasto credito che ha nel mondo della ricerca. Oramai si sente ripetere che le nanotecnologie rappresentano il futuro della ricerca scientifica, con possibili, infinite applicazioni, dall’informatica al campo sanitario. Può, gentilmente, raccontarci il vostro impegno operativo e etico al riguardo?

Io faccio ricerca da 45 anni e mia moglie da quasi altrettanto. Molti anni fa scoprimmo, soprattutto grazie a mia moglie, quelle che oggi sono chiamate nanopatologie e, per questa ragione, ci occupiamo da lungo tempo di micro e nanoparticelle. Per questo lavoriamo su ciò che esce da inceneritori, centrali a biomasse, motori a scoppio, cementifici e fonderie. Poi ci occupiamo di alimenti e farmaci sporchi ma, soprattutto, di malattie da polveri. Recentemente abbiamo pubblicato i risultati di un nostro studio sulle leucemie collegate all’inquinamento da particelle. Secondo quanto è nostra abitudine, noi non facciamo rifritture di lavori altrui come, purtroppo, è triste costume - specie in Italia - ma facciamo ricerca vera, sperimentale, come si fa da Galileo in poi; è per questo che i nostri risultati sono spesso non solo innovativi ma in un certo senso imbarazzanti per molti sedicenti scienziati.

In campo sanitario l’uso medico di nanoparticelle, come anche la contaminazione dovuta alle stesse, sono l’argomento del giorno. Trattandosi di manipolazione della materia a livello ridottissimo, su una scala dimensionale inferiore al micrometro, viene da porsi delle domande e da stare in guardia. Secondo voi qual è il motivo della presenza di nanoparticelle così pericolose dentro ai vaccini? E quale è la vostra opinione ed esperienza al riguardo?

Le nanoparticelle hanno tante proprietà interessanti e sfruttabili industrialmente. Anche la Medicina si può avvalere di quelle caratteristiche, a patto, però, che l’organismo sia capace di liberarsene. Il che significa, nella gran parte dei casi, che le particelle devono essere biodegradabili. Quanto ai vaccini, noi li troviamo inquinati da particelle da circa 15 anni. Il perché della loro presenza ci resta misterioso.

Dottor Stefano Montanari, nanoparticelle, salute, vaccini

La cosiddetta “sindrome dei Balcani” che ha colpito tanti dei reduci della guerra in ex Jugoslavia esposti alle polveri sottili dell’uranio impoverito, ha richiamato l’attenzione – anche in questo caso - su di un possibile caso di contagio vaccinale. Quale può essere la spiegazione più plausibile di questa sindrome? Si tratta di un problema derivato dall’uranio, dai vaccini o eventualmente – in alcuni casi - da entrambi?

Ormai dispero. Ho tentato per anni di spiegare la storia dell’uranio impoverito ma, evidentemente, senza successo. L’uranio è semplicemente la sostanza che, in contatto con l’aria e in seguito all’urto che subisce quando costituisce la punta di un proiettile che colpisce un bersaglio solido, provoca l’innalzamento della temperatura fino a poco oltre i 3.000 °C. Questo genera la volatilizzazione di almeno parte del bersaglio e, da qui, la formazione di enormi quantità di polveri sottilissime che vengono inevitabilmente respirate da chi è presente in zona. In più, le polveri vengono anche ingerite perché, alla lunga, cascano su frutta, verdura e cereali. Sono quelle polveri e non certo l’uranio, presente in quantità piccolissime, a provocare l’insorgenza delle malattie. Ma qualunque esplosione, uranio o no, ha lo stesso effetto. Il tungsteno con cui si fanno pure armamenti, ad esempio, innalza la temperatura ad oltre 5.000 °C, il che comporta la formazione di particelle molto più sottili e, per questo, molto più penetranti. Purtroppo, però, la gente, gli avvocati, i giudici, i medici e i giornalisti non paiono in grado di capire l’ovvietà e, per questo, continuano con la storiella dell’uranio impoverito. Per ciò che riguarda i vaccini che, follemente, vengono iniettati al di fuori di ogni razionale necessità ai militari, è evidente che questi abbassano le difese immunitarie rendendo i soggetti più esposti alle malattie.

Vorremmo sapere cosa si riesce a conoscere a riguardo dell’inquinamento ambientale raccogliendo come prova, appunto, delle nanoparticelle piuttosto che sostanze chimiche?

Le particelle sono degli ottimi marker per l’inquinamento ambientale. Di questo abbiamo trattato in tante occasioni dimostrando che, individuando le particelle, siamo spesso capaci di risalire alla fonte di determinati inquinamenti.

Quale è la visuale di Stefano Montanari sul compito della ricerca, e del suo laboratorio in particolare, all’interno del movimento freevax, a cui partecipa appassionatamente?

Mi pare che sia semplicemente una questione di dignità personale, peraltro garantita dalla Costituzione. Noi ci limitiamo a mostrare in termini obiettivi che i vaccini sono sporchi e controllati in maniera quanto meno insufficiente. Mettere in discussione la libertà personale è qualcosa di cui non possiamo far altro che vergognarci come, tristemente, ci fa notare il Parlamento svedese.

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