Per una Storia dell’Esperienza Gnoseologica

Intuizione modulante

Rev. Leonardo Anfolsi Reiyo Ekai

Per una Storia dell’Esperienza Gnoseologica dal (non) Punto di Vista dell’Eternità saltellando fra archetipi e sub-archetipi.

Facciamo un passo indietro, caro lettore.
Iniziamo dalla storia del “pensiero”, anzi, no, da quella del misticismo operativo.

Sì, perché la punta di diamante occidentale della ricerca in campo gnoseologico-spirituale divenne quella “filosofia” che ci insegnano a scuola: schematica, storicizzata, come fosse stata pensata da pensatori e non da uomini d’esperienza, da mistici; a causa di questo equivoco, ecco che una “pura ricerca dello Spirito” non riuscimmo più a concepirla. Allora un pochino sì, ma oggi zero, e gnoseologico divenne sinonimo di neurologico, anche se qualcosa di potente e radicale si sta risvegliando in Occidente grazie all’arrivo del buddhismo.

Lettore mio, avrei potuto prendere qualunque argomento per dare sostanza alla mia esercitazione di intuizione modulante.

Già, con l’inabissamento del mondo pagano e con l’avvento del cristianesimo, se ne persero le tracce; ma dai, perché?
Quello che piace ai più della religione di massa è l’emozione di sentirsi dentro a una narrazione misteriosa, per la quale noi possiamo, almeno per poco, diventarne protagonisti, pur essendone solo gli auditori. Trovo che sia magnifico e che in qualche caso funzioni a meraviglia, ma tutto ciò è da considerare con attenzione.

Vediamo cosa può determinare una simile, necessaria oramai, eredità culturale in un singolo individuo, dato che dalla Cina ci fanno sapere che sia molto peggio gettare il secchio nel pozzo senza raggiungere l’acqua piuttosto che mai gettarvelo; almeno facevi altro per avere in altro modo l’acqua. Era solo un problema di catena troppo corta? La mente viene prima e poteva pensarla più lunga, la catena, e il cielo viene prima della mente ed è la mente, oltre ciò l’acqua potresti trovarla in molti luoghi per non dire che è ovunque.

Il singolo individuo, quando messo in relazione con una dimensione di quasi sola fede, rischia di non sviluppare spunti personali interiori; ovviamente questa mia opinione non riguarda tutti, ma credo che possa riguardare molti, particolarmente oggi.

Infatti, attraverso i secoli viene a formarsi una potente eggregore che si trasmette attraverso lignaggi diaconali e quasi mai, possiamo dire effettivi. Non che ciò non possa accadere in quelle religioni dove si affermi invece una piena trasmissione operativa, quindi effettiva, nella maestria, ma diciamo che l’incoraggiamento a diventare un Buddha o un guru a pieno titolo produce più facilmente individui ricolmi di capacità e di potere, quasi come se costoro fossero incoraggiati ad essere i “messia di se stessi”. In un simile contesto la presunzione, peraltro, sarebbe ben delineata in controluce, evidente e subito sputtanata.

La paura che ingenera la parola guru nel nostro mondo post cristiano e perciò materialista, è chiaramente un signum di un timor oramai affermato e incatenato alla medesima eggregore di cui prima. E dire che in India questa parola è sempre pronunciata con un vezzeggiativo che invece non viene riportato in Occidente: guruji vuole dire “zietto guru” o “guretto caro”. E questo anche se parli a un tizio che appare e scompare o che passa attraverso i muri. Nel caso.

Secondo il mio modesto parere - motivato in modo opposto a quello dei materialisti - non dobbiamo per forza credere in una rivelazione che abbia cambiato per sempre la storia o sgretolato un impero. Dico “opposto ai materialisti” proprio perché la rivelazione di cui sto dicendo non sarebbe solo quella cristiana ma, per esempio, quella scientifica che sempre più acquisisce un non so che di dogmatico ancor più insistente, mi si lasci dire. Riprendo un motto del fisico David Bohm, che ci dice: “A che cambi qualcosa di sostanziale nella teoria generale della fisica bisogna che una intera generazione di fisici muoia”.

Ritornando alla metafora storica dell’impero romano, mi viene da considerare come la storia non esista nell’eternità - se questa ce la prendiamo ex abrupto - e poi che l’impero stava già sgretolandosi per conto proprio e che i romani, infine, non erano satanici, come oggi credono i protestanti americani più esagitati e poco alfabetizzati. Come gli avatar furono inventati dapprima dai jaina e poi copiati da induisti e buddhisti - e mettiamoci pure Mithra/Maitreya - come la “storia” centrata in Cristo fu inventata dai cristiani, però dopo che per il culto di stato vigente in Roma si calcolavano gli anni dalla fondazione “ab urbe condita” cioè dalla fondazione di Roma. E ogni anno si piantava ritualmente un chiodo, come oggi fanno anche i cristiani.

E poi, i cristiani non venivano martirizzati perché “creavano scandalo”, come sperava Paolo di Tarso, ma soprattutto per un motivo del tutto banale/funzionale ingeneratosi da un’isteria di dimensioni imperiali: la renitenza alla leva. Di questa, in realtà, era colpevole una sola della quindicina di sette cristiane presenti nell’impero.

È curioso considerare che coloro fra i cristiani che furono capaci di tenere a freno la lingua e a non esercitare eroicamente la propria virtù, furono i continuatori da cui discesero coloro che fecero meritevolmente scollinare il cristianesimo oltre i secoli suddetti.

Marco Aurelio, l’imperatore più pio e sopho, vietò con la pena di morte l’uccisione dei cristiani, ma l’isteria quando si innesca non la fermi. E volendo capire l’invasamento di quei tempi, non voglio implicare che solo allora lo fossero, invasati, e magari oggi non più, dato che - come pensano i più materialisti - l’uomo evolverebbe e diventerebbe più saggio. Oh, no.

Caro lettore, come faccio a pensare, se davvero conosco gli uomini, che oggi siamo messi meglio a pensiero e a maturità? Solo l’accenno a un pensiero così darwiniano quindi incompleto e truffaldino mi fa ridacchiare e un po’ rabbrividire. Anche perché anch’io sarei un uomo e quindi incoraggiato a guadarmi alle spalle o, per meglio dire, dentro, alla ricerca di un eventuale idiota.

Come anche non nego forza e dignità alla sola fides, ma mi fa scompisciare l’unicità di cui è capace quella che può diventare in effetti un’ideologia troppo spesso scambiata come “nient’altro che religione”. O: “la vera religione”. Del resto quelli erano i tempi, oggi oramai conclusi; probabilmente non ha nemmeno gran che senso il sentirmi più furbo di loro, dato che anch’io sono “altro” da allora. Ma è che essendo cambiato il tempo incoraggerei tutti ad accorgersene: non è niente di buono o di cattivo, ma un fatto.

In effetti, converrebbe a chi è cristiano l’esserlo veramente e in modo da non essere continuamente atterrato in area di rigore mentre dialoga con certe radicalità, ancora più radicali della sua. Lo Spirito Cristico non è acqua o, per meglio dire, sarebbe proprio l’acqua che disseta per sempre; incoraggiando tutti ad averne contezza, aggiungo però che oggi i mulini ad acqua li fabbricano le multinazionali. E questa mia sarebbe una figura retorica, un’iperbole, quindi non farei chissà quale ricerca sul web.
Che non sia quella vera, l’acqua dei mulini materialisti, devono essere i cristiani a saperlo spiegare ai materialisti, perché quest’ultimi non ne hanno altra e, peggio, non ne capiscono di altra. E devono essere i cristiani a spiegarlo a se stessi, prima di bere di quell’acqua che li renderà assetati per sempre.

Questa metafora mi piace; ovviamente i “cristiani” qua sono tutti gli esseri umani, nessuno escluso, dato che ogni “fede” non può essere un rifugium peccatorum, un luogo dove, delusi, rifugiarci dopo avere prese quattro sberle dall’illuminista di passaggio che ti dimostra quello che dice con esperimenti infantili e deprimenti, per poi inventarsi che bisogna ammalare e schiavizzare tutti e tenerli sotto controllo come cavie, altrimenti quella volta che un meteorite colpisce la terra o si spegne il sole o che l’anidride fuffonica inquina il mondo impazziscono tutti, appunto, come cavie impazzite.

Capire le questioni di secoli fa con l’intuizione modulare fa comodo per capire come dei dementi, oggi, possano inventarsi tutto e di più e per quale motivo; osservando attentamente, si capisce quanto possano essere falsi, mendaci e pericolosi. Non sono ricchi imprenditori e benefattori, ma pericolosi succubi incastrati in un quadro schizoide capace di articolarsi con grande rapidità per colpire il mondo intero. Lo so, sembra un film di James Bond, ma non so cosa farci.

Ma per capire le questioni di secoli fa, dobbiamo arrivarci, a secoli fa. Ritornare a quei tempi ci si può riuscire se, intanto, ci distogliamo da quanto è successo dopo. Non è facile. Io ci provo sportivamente e, la mia impressione, è che ci riesco quasi.

Ma ancora più difficile è riuscire a entrare in quella confluenza di fattori che hanno creato quei momenti così oramai antichi per noi.

Dal passato e dal futuro si arriva, dunque, a capire quel momento “X”, ma non senza fatica.

A cosa ci serve questa ricerca, ora?

Capire è un processo sia graduale che immediato.

Capire è utile perché affila e affina l’arte della visione, che è l’arte del vedere senza schemi ovvero lenti. Provandoci non si diventa esperti, ma più sinceri.

Gli schemi servono dapprima come moduli per rendere modulare la percezione degli archetipi e dei sub-archetipi, allenandoci a posizionarci in una qualche mappatura del mondo, dei tempi, mentre lo scibile esplode in modo ordinato nella nostra percezione che può essere frattalica, caleidoscopica, olografica.

In queste mie righe uso quasi ovunque la chiave caleidoscopica.

Poi, a un certo punto, la mappatura si accende in senso reale e senza più ascisse e ordinate o meridiani e paralleli; così si diventa intuitivi in tempo reale, altra metafora, nel riconoscere i luoghi della città che più frequentiamo - anche dopo molto tempo - e questo può succederci anche se ci smarriamo in un quartiere a noi sconosciuto; sì, perché prima o poi, camminando camminando, incontreremo qualcosa che ci rammenta un momento, un luogo e poi ecco riaccendersi la mappa che ci fa ritrovare. TU SEI QUA.
Ma qui siamo ancora nella città che più frequentiamo e non nell’universo. Il fatto che potremmo accedere all’universo orientandoci in un solo istante non è puro fascino?

E non sto parlando di luoghi, ma dell’unico luogo dove non siamo mai nati né mai moriremo. L’inizio e la fine, L’Alfa e L’Omega.

Questa è una iperbole o fantascienza per i più.

Ma se hai capito cos’è che determina il tuo cardo e il tuo decumano interiori (il TU SEI QUA eterno ma con la presa a terra), se sai senza voler sapere cosa è l’eternità perché ne hai vissuto la smarrita e inconsistente emozione, se sai aderire alla tua identità più larga - non “fluida” come pensano i poveretti - allora in te si è accesa una stella e un nuovo universo vive.

Averci nuovi occhi diceva Saulo di Tarso.

Sopra al piano delle fluttuazioni della nostra psiche esistono ulteriori e divini piani di relazione col mondo; in quello subito sopra troviamo un’emozione luminosa che ci scandisce una netta differenza fra fluttuazioni emotive e un’emozione della luce ed è allora che vediamo dove non andare a mettere i piedi.

Ma ancora più su si accede a tre stati di coscienza in uno; a un silenzio risucchiante, a una beatitudine radicale e invadente, a una luminosità che sorge in noi anche come pensiero.

Uno degli uomini più eccezionali che ho conosciuto, estremamente pacioso, anzi, direi pacioccone, un giorno divenne feroce, di colpo, quando il solito prevenuto gli chiese: “dimostrami che un tuo pensiero cambia l’universo, intendo, perfino la configurazione di stelle lontane…!”. La sua risposta fu: “dimostrami TU che ciò non accade”. Non ottenne risposta, e in quell’istante ho capito cosa significava per gli antichi, sia a Occidens che a Oriens, la retorica.

Non era falsa, la retorica, come oggi pensiamo beccando il becchime che ci ammannisce il tempo durata = le abitudini di pensiero, ma era per loro lo scatenamento del potere interiore; non enfasi manipolativa o “auto-convincimento”, ma Minerva che esce già armata dalla testa di Zeus dopo che Vulcano gliela ha “aperta” con un colpo d’ascia liberatorio, definitivo, totalizzante. E piove oro.

Chi invece vuol morire invano e sul divano, ne è libero. Chi vuole essere insensatamente figlio del proprio tempo e pensare secondo le regole che gli sono imposte, può avere ragione dato che gli viene data ragione - ricchi premi e cotillons - venendo premiato con la polvere e dal fango del mondo. Peccato, però, per lui o per lei.

Costei, costui, può anche credere di non essere così invadente e crudele, “soltanto” perché ha cercato di uccidere il pensiero vivente di Eraclito, del Cristo, del Buddha, in virtù della nuova superstizione riduzionista o della fede dei suoi padri, se mai li avesse conosciuti davvero e non interpretati col senno di oggi.

Te lo dico prima per non interrompere il flusso di questo testo: nell’ultima, finale allocuzione verrà espressa la chiave frattalico/olografica, nell’ultima riga quella olografica. Allora andiamo.

Il pensiero vivente è eterno, perché è la realtà, ma chi crede di ucciderlo in sé, ecco che cercherà d’abortire invano se stesso, restando in attesa sospesa di quell’eternità che gli parrà sempre altrove e sempre da fuggire o da cercare. E in questo smarrimento fatale sempre chiamerà ciò che non può trovare - o che crede mancante - “Verità”.

Ancora per lui dovranno aggregarsi, possibilità, speranze, confluenze fenomeniche “x” o “y”, e infine detonazioni dell’esperienza. Entro variabili infinite dovrà conteggiare le pietruzze nere e quelle bianche, per ottenere cosa?
Non è mio compito capirlo, questo è un abisso incolmabile e la luce che è in ognuno di noi lo rifiuta e lo azzera del tutto. “L’essere è, il non essere non è”, ci spiegò Parmenide. Non è una tautologia.

Ogni galassia ha un centro, ogni individuo ha un cuore, ogni pensiero ha un silenzio luminoso, beato, innato, ovunque, prima.

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