
Mara Chinatti e l’Arteducativa tra Psicosintesi e bellezza
Rocco FontanaUn dialogo con la fondatrice dell’ Arteducativa, tra Psicosintesi, bellezza e libertà.
Counselling Arteducativo non è semplicemente un manuale o una testimonianza: è la sintesi viva di un cammino esistenziale, spirituale e professionale. Mara Chinatti ci accompagna attraverso una prassi che lei stessa ha ideato e coltivato per oltre vent’anni - l’Arteducativa - restituendo dignità e voce a persone che troppo spesso la società condanna al silenzio. Il suo lavoro intreccia Psicosintesi, creatività, educazione affettiva e attenzione alla persona in uno “spazio sacro” dove la trasformazione diventa possibile. In questa intervista, le chiediamo di condividere alcuni aspetti chiave della sua visione e pratica, così profondamente radicate nel rispetto dell’anima e nella fiducia nella bellezza interiore.
✨ Sette domande all’autrice Mara Chinatti
1. Nel cuore dell’ Arteducativa c’è il principio della “domanda” come apertura di un cammino interiore. Come nasce questa scelta metodologica e quale potere trasformativo riconosce a una semplice domanda posta con autenticità?
L’Arteducativa non è una psicoterapia e neppure un’arteterapia, ma è una modalità da me ideata e sperimentata da oltre due decenni, che nell’attività di Counselling tende a rispondere alla richiesta posta dal cliente. È nata negli anni novanta quando, durante la mia permanenza in India, ho sentito la necessità di rispondere alla richiesta di un cambiamento profondo e di comprenderne i contenuti. Successivamente, si è sviluppata in relazione alla comprensione di alcuni disturbi fisici che mi avevano fatto ammalare. Nell’Arteducativa il “pellegrino arteducativo”, in cerca di una risposta o di chiarezza, elabora un’immagine libera e spontanea che riproduce la sua domanda diventando per lui stesso una figura guida, un punto emittente, uno strumento di cui si serve per ri-scoprirsi, per togliersi ciò che non li serve più, ma fa fatica a lasciare andare, a rinunciare a ciò che crede di possedere per l’eternità. È la domanda che stabilisce la situazione generale da lui presa in considerazione che indica la via, la direzione verso dove si vuole procedere e la modalità di lavoro che porterà l’individuo a raggiungere la personale risposta. La domanda è la “chiave” da tener sempre presente poiché apre le porte di stanze diverse (i disegni e gli scritti consequenziali successivi) che sono simili a passaggi, a tappe, o a soste che l’interiorità dell’individuo desidera fare. Mentre l’individuo procede diventa maestro di sé stesso e comprende che può apprendere da sé, da ciò che ha, da quello che è, e da ciò che svolge.
2. Lei parla dello “spazio sacro del laboratorio” come di un luogo fuori dal tempo ordinario. Cosa rende un laboratorio davvero “sacro” e come si coltiva questa qualità della presenza, in particolare con persone in situazioni di estremo disagio?
In un percorso Arteducativo, lo spazio dinamico tra la domanda e la risposta è il luogo relazionale tra chi disegna e l’arteducatore, è quello spazio che il disegnatore apre fra sé e sé, nel suo rapporto fra mondo interno/esterno, alternando l’uso dei due emisferi destro e sinistro. Questo spazio di protezione psichica energetica, pone la persona al riparo da pressioni e influenze disturbanti o negative per riappropriarsi dei propri luoghi interiori. È uno spazio-tempo sacro perché è qui che l’essere umano può sviluppare le condizioni propizie e le possibili opportunità di accettazione, di trasformazione e di trasmutazione e soprattutto perché, forse per la prima volta, egli si svela e rivela prima di tutto a sé stesso. La qualità di questo spazio implica fiducia, rispetto, scelta, ma anche qualcosa di più; avviene qualcosa di profondo. In questo luogo la mente e l’anima sono distaccate completamente dal normale flusso spazio-temporale della vita quotidiana che comporta l’estraniamento dalle influenze esterne. Ed è qui che emerge una nostalgia della propria essenza, sembra lontana ma è molto vicina, presente poiché è una Presenza Amorevole di AMORE E VOLONTÀ. Assagioli, nella video-intervista del 1973, afferma: “La dimensione dell’anima è la presenza”, per questo l’essere umano la cerca e ricerca fuori e all’interno di sé. Quando l’individuo è presente a se stesso diviene l’accompagnatore di sé, diventa sia un ‘artista’, poiché modella se stesso, sia l’artefice del proprio cammino interiore. Così facendo si avvicina sempre più alla sua autenticità più vera e profonda. L’integrazione del proprio lavoro genera in lui stupore e dona una consapevolezza del tutto inattesa. E sappiamo che lo stupore è la prima qualità della manifestazione del Sé che si manifesta nel quotidiano.
3. Nelle sue parole ritorna spesso l’idea della bellezza come diritto e non come ornamento. In che modo l’esperienza estetica, anche nel senso più intimo, può restituire dignità e speranza a chi l’ha perduta?
L’idea della bellezza spesso fa riferimento ad un qualcosa di visibile che suscita ammirazione e contemplazione. Nell’Arteducativa come nell’antichità invece, la bellezza non è percepita solo attraverso i sensi, come un oggetto da ammirare, ma è l’esperienza vissuta nell’interiorità per realizzare l’oggetto da osservare, sia esso una forma concreta o un processo interiore. Per raggiungere o avvicinarsi a questo scopo, il lavoro arteducativo realizza in concreto una sequenza di immagini ‘specchio’ proiettive sulle quali l’autore pone la sua attenzione. Siccome il lavoro del soggetto si svolge sulle conseguenze derivanti da un’affettività che è stata o è vissuta male, distorta oppure assente, il disagio presente porta in sé un bisogno non appagato. La bellezza emerge nel passaggio che conduce dall’ignoranza alla coscienza di qualche cosa, dall’irresponsabilità alla responsabilità, e si svela mediante un processo di auto-conoscenza, auto-consapevolezza, di sviluppo interiore. Per esplorare la sua dignità ferita, per la restituzione di forze energetiche che sono al servizio dell’espressione dell’Anima, l’identità più vera dell’individuo e dell’affiatamento tra essa e la personalità, l’autore utilizza delle chiavi d’accesso che sono i dialoghi che lui svolge con le personali e molteplici immagini specchio. Assenza di giudizio, apertura interiore, osservazione, accettazione, capacità di vedere qualità e potenzialità, nelle sue immagini specchio, sono solo alcuni dei requisiti essenziali per risvegliare e sentire il richiamo dell’amore verso di sé che incoraggia amorevolmente, prima a cercare e poi a vedere la propria e altrui bellezza. Per il semplice fatto di essere un essere umano ri-scopre che ogni persona, indipendentemente dalla sua condizione sociale, economica o di salute, merita di essere trattata con rispetto e considerazione. Di conseguenza nel valorizzarsi e nel valorizzare gli altri egli applica quanto le antiche scritture ci ricordano: “L’umanità è un corpo unico. Non bisognerebbe brillare per sé, ma per manifestare la bellezza del creato nel mondo. Pertanto attivare la scintilla di luce e di bene in noi è lo scopo di ogni essere umano”.

4. Uno degli elementi distintivi della sua prassi è l’assenza di interpretazione da parte dell’arteducatore. Perché è così importante che il significato emerga dall’autore stesso dell’immagine?
Imparare a chiarire, leggere e spiegare le parti componenti del disegno spontaneo spetta solo all’autore perché per lui significa togliere la maschera ad un volto che vuole mostrare la propria bellezza e vedere i personali veri lineamenti. Ricordo che la rappresentazione grafica riconsegna all’autore alcune parti della sua molteplicità di aspetti comportamentali, caratteriali e dell’anima di cui è composto. Pertanto l’interpretazione deve essere esclusivamente personale e non fatta dall’arteducatore, solo così libera in lui del potenziale nascosto permettendogli anche di apprendere delle informazioni fino ad allora sconosciute o, inspiegabilmente, dimenticate. L’essere umano è ciò che di astratto o di figurativo vede sul foglio nel disegno da lui eseguito, e chi meglio di lui può conoscerne il contenuto? A nulla gli servirebbero le interpretazioni dell’arteducatore che spesso o in gran parte risultano essere delle proiezioni personali.
5. Nel libro si parla della “scatola magica” e dell’uso delle matite colorate come strumento evocativo e formativo. Può raccontarci come nasce questo strumento e quali reazioni ha osservato nei partecipanti durante il suo utilizzo?
Per spiegare i concetti base della Psicosintesi e dell’Arteducativa, come per esempio la struttura fisica dell’essere umano, l’anatomia e la fisiologia della psiche, quali aspetti personali e altrui vediamo, cosa percepiamo e molto altro, dovevo innanzitutto attivare la curiosità e l’attenzione dei partecipanti al mio laboratorio. Per arrivare a loro mediante un linguaggio che esprimesse dei concetti astrusi in modo semplice, sintetico e comprensibile da tutti, anche da chi conosceva poco l’italiano, aveva una bassa o non aveva un’istruzione scolastica, intuitivamente mi sono avvalsa di una scatola di cartone contenente delle matite colorate e del materiale pedagogico. Così la scatola chiusa e successivamente aperta è diventata l’immagine sostituente l’essere umano, il suo contenuto gli aspetti dell’animo molteplice e le sue funzioni psicologiche. Come se fosse un gioco, muovo le matite sul tavolo posizionandole in modo verticale o orizzontale, spaiate o raggruppate, etc., a seconda dell’informazione che voglio trasmettere. Ogni partecipante attento, incuriosito e al contempo sorpreso benevolmente dal mio modo di agire, partecipa dinamicamente senza essere influenzato dalla sua condizione culturale. La luce nei loro occhi, le domande che mi pongono e i dialoghi che avvengono tra noi mi testimoniano continuamente che la modalità da me usata agevolava la comprensione e l’acquisizione dei concetti in chi è presente.

6. L’esperienza carceraria ha segnato profondamente il suo cammino. Quali sono le intuizioni più profonde che ha ricevuto da quel contesto? E che cosa ha imparato sul potere della relazione, anche con chi ha vissuto nella marginalità o nell’errore?
Un giorno ho sentito dire, da un missionario, che esponeva la realtà del carcere brasiliano che c’è bisogno di formazione umana. Non ha parlato di percorsi psicologici o di altre frasi consuete ma di “formazione umana”. In queste due parole io ho colto l’urgenza di ri-modellare un “qualche cosa” di già esistente ma che per un motivo o per l’altro, è stato alterato. Quando l’individuo cresce portandosi appresso un’immagine di se stesso completamente diversa da quella autentica agirà in conformità ad essa e non sarà per lui facile scoprire, ri-prendersi o recuperare l’originale. Aiutare l’individuo a scoprirsi diverso dall’idea immagine distorta che si è creato, significa ri-dargli la forma originale. “L’unione tra io e tu crea noi” è il titolo che ho dato ad un mio precedente libro che cito, poiché nell’esperienza dell’ Arteducativa mi sono allenata a mettere in concreto l’identico messaggio. “Sto imparando a non odiare” è il titolo di un altro mio libro, non è solo un concetto ma una realtà quotidiana che, oltre a far riflettere, si ripropone come messaggio in ogni contesto nel quale si voglia incontrare “l’altro”, sia esso una situazione, come quella della detenzione, un’idea, una parte di noi, un aspetto che per qualche motivo specifico non ci piace, ci limita, ci disturba, ci induce a sbagliare o perfino a spingere una persona a far soffrire un’altra. C. G. Jung diceva che “I grandi problemi dell’umanità non sono mai stati risolti da leggi generali, ma sempre da un mutamento del singolo.”
7. L’ Arteducativa non è solo una prassi, ma un vero cammino di consapevolezza che attiva la volontà buona e il contatto con il Sé. In un’epoca spesso dominata dalla distrazione e dal disorientamento interiore, cosa può offrire questo approccio a chi cerca un modo più umano e luminoso di stare al mondo?
Roberto Assagioli diceva che ogni persona è una luce che irradia la persona stessa, ma è anche una lampada emittente. Spesso però questa lampada non è accesa e la mancanza di luce o la presenza di una fievole luce crea disagi, problematiche, caos, dubbi, sofferenza e molto altro. Pertanto l’Arteducativa si pone come obiettivo l’evoluzione a partire dal rinnovamento dell’essere umano, che di sua iniziativa e volontà buona agisce in sé stesso, per sé stesso e per il mondo circostante. Ma fin quando non attua la disidentificazione dalle conseguenze di una affettività vissuta male, e che ho riscontrato essere il denominatore in comune di moltissimi disagi e delle sofferenze psichiche ma anche fisiche, non può creare una buona relazione interpersonale. M. Mitzchar, in Kemi Hathor 1982, riflette sul fatto che “L’uomo d’oggi torna ad avvertire la necessità di un discorso che si rivolga sia alla sua coscienza sia al suo inconscio”. Per appagare questa necessità è bene che egli lavori su di sé percorrendo la strada che dal sé inferiore (personale) si dirige verso il Sé superiore (Anima) o viceversa. È nel porsi qualitativamente in relazione con se stesso, con gli altri esseri senzienti e con la natura che riconosce l’esistenza della molteplicità e della diversità delle forme della vita. L’essere umano ha bisogno di Relazione Umana, di risvegliare un sentimento di umiltà e di accettazione amorevole verso di sé, che gli permette di cercare prima e trovare poi la sua bellezza. Di conseguenza non sarà più l’ignoranza, la passività, la rabbia, l’aspettativa o la dipendenza a possedere o stimolare le sue azioni, ma l’uso della volontà buona nella scelta consapevole. L’Arteducativa propone uno spazio sacro avente la qualità del sentirsi a casa dove è possibile in concreto risvegliare quella vibrazione speciale, chiamata percezione, dell’esserci e dell’esistere come si è in natura e che a causa di un’affettività, mancata, distorta o vissuta male non ha potuto vibrare. La casa del Sé è l’uomo stesso, ed è rintracciabile soprattutto nel suo cuore e nei suoi liberi sentimenti. Pertanto il Sé è un incontro e comunicazione tra anime che si vedono, si riconoscono e confermano il Sé dell’altro.

Concludo questa intervista ringraziando Fontana Editore e con la citazione tratta dal libro: Dall’Intelletto all’Intuizione,1951 di A. Bailey. “La Conoscenza eleva l’anima all’ordine divino; l’amore l’unisce a Dio; l’esercizio perfeziona l’anima e la eleva fino a Dio. I tre fattori conducono l’anima fuori dal tempo, nell’eternità”.
Nel libro, così come in queste risposte, Mara Chinatti ci invita a un ascolto nuovo, profondo, che va oltre le apparenze e i ruoli. L’ Arteducativa non è un metodo da applicare, ma un’esperienza da vivere, un cammino che apre alla possibilità di vedere e di vedere-se. In un tempo in cui l’umano rischia spesso di smarrirsi nel rumore del mondo, il suo lavoro è un richiamo alla bellezza, al silenzio fecondo, all’incontro come atto sacro. Un gesto di cura che accende piccoli fuochi interiori - e insegna, dolcemente, che “l’unione tra io e tu crea noi”.