Pensiero e desiderio. Parte 2
3. Volere è potere
Con Nietzsche la riflessione dell’Occidente prende una strada diversa. Il legame tra desiderio e pensiero creativo ricorre spesso nelle sue opere e inizia a farsi avanti l’idea che il desiderio non sia solo mancanza, ma espressione di potere.
Naturalmente, una tale forza può anche essere distruttiva, ma ciò non ne preclude il potenziale creativo. Non è un caso che Nietzsche sia stato influenzato dalle idee della filosofia indiana, che proprio in quegli anni iniziavano a circolare in Europa.
Come vedrem più avanti, in India la forza creativa del desiderio è stata riconosciuta precocemente mentre, in un percorso quasi opposto all’Occidente, si è riflettuto sui suoi aspetti negativi solo in un secondo momento.
Con l’esistenzialismo e la psicoanalisi l’intuizione platonica da metafisica diviene psicologica e inizia a fare capolino un tema inedito, ovvero sia l’idea che il desiderio non è mancanza di oggetto, ma bensì di soggetto.
È questo il modo in cui si manifesta la preoccupazione del pensiero continentale per la natura del Sé. L’uomo occidentale si guarda dentro e scopre il vuoto, l’incertezza e l’instabilità, spazi aperti e terrificanti che cerca di riempire attraverso gli oggetti del desiderio. Non stiamo forse cercando di colmare la nostra stessa mancanza di senso quando rincorriamo gli oggetti del mondo e le sensazioni che suscitano?
In questa direzione si muove anche il pensiero di Jacques Lacan, uno dei più influenti teorici della psicoanalisi moderna. Per Lacan, il desiderio è centrale nella struttura psichica dell'essere umano: non è semplicemente una manifestazione di bisogni o impulsi biologici, ma è piuttosto un processo complesso che coinvolge la relazione tra l'individuo e il mondo esterno.
In altre parole è il desiderio che ci muove nella nostra relazione col mondo e con gli altri.
Il pensiero desiderante nasce dalla percezione di una mancanza nell'essere, che non può mai essere pienamente soddisfatta. È questa incompletezza ciò che ci spinge a cercare la soddisfazione all’esterno, attraverso beni, relazioni e ideali che simbolicamente rappresentano quel che ci manca.
Affascinanti i possibili rimandi alla nozione buddista dell’anatman, un tema troppo ampio che qui non abbiamo modo di trattare.
La linea di pensiero iniziata da Nietzsche arriva a piena maturazione con Deleuze che afferma senza mezzi termini che il desiderio non serve a rimarginare alcuna ferita inguaribile, al contrario alimenta il pensiero, rendendolo dinamico e produttivo.
Secondo l’autore, infatti, il desiderio non manca di nulla, anzi è una forza positiva che crea ciò che prima non esisteva.
La critica di Deleuze si concentra in particolare contro la psicoanalisi che, a suo dire, avrebbe completamente tradito il senso della sua stessa scoperta, facendo dell’inconscio e delle sue pulsioni non una forza rivoluzionaria bensì il “teatrino dell’Edipo”, la cui decifrazione sarebbe funzionale solo ad addomesticare il desiderio, privandolo della sua potenza.