
Quando il patriarcato muore, ma non guarisce
Sarah Maria TagliabueUn paradosso sistemico
Viviamo in un’epoca in cui il patriarcato viene smascherato, denunciato, contestato. Ma il modo in cui lo facciamo lascia emergere un paradosso profondo e, se vogliamo, inquietante: combattiamo il patriarcato usando esattamente le stesse armi che ci hanno feriti. Ci scagliamo contro il controllo con più controllo. Contro l’autoritarismo con altre forme di imposizione. Contro la violenza simbolica con linguaggi altrettanto violenti.
Il rischio? Perdere il cuore del cambiamento. Perché quando combatti un sistema con la stessa energia del sistema, non lo trasformi: lo alimenti.
L’ approccio sistemico ci invita a guardare sotto la superficie.
La pedagogia sistemica, così come le Costellazioni Familiari, ci insegnano che il problema non è mai solo individuale o sociale. È sempre anche transgenerazionale. I sistemi familiari – le nostre radici invisibili – portano dentro di sé memorie, dolori, esclusioni. Quando una figura viene esclusa o svalutata – come spesso accade per il padre, il maschile, l’autorità – il sistema si destabilizza. E quell’esclusione torna sotto forma di sintomo.
Vediamo tutto questo riflettersi nella crisi attuale del maschile. Non parliamo di uomini contro donne, né di ruoli stereotipati. Parliamo dell’energia archetipica maschile: quella forza che dà direzione, che sostiene l’identità, che protegge senza invadere, che guida senza annullare.
Oggi questa energia è assente, oppure distorta. Il padre è simbolicamente morto, o ridicolizzato. L’autorità è confusa con l’autoritarismo. Il limite buono è percepito come imposizione. L’adulto integro viene oscurato dalla figura dell’adulto fragile, che oscilla tra il permissivo e il controllante.
E allora cresciamo – come figli, studenti, cittadini – senza un nord, senza una colonna vertebrale. Cresciamo con l’idea che ogni struttura sia una gabbia, che ogni regola sia repressione, che ogni “no” sia una forma di oppressione. Ma un mondo senza limite non è libertà: è smarrimento.
Nelle Costellazioni, quando il padre manca, il figlio non riesce a diventare adulto.
Il figlio resta bambino, oppure si trasforma in giudice. Inizia a combattere ciò che non ha mai potuto integrare. E se il padre è stato ferito, assente, distante – allora quel dolore si trasforma in ribellione, in sfiducia, in fuga. Ma in fondo, anche in una fame disperata.
La fame di una guida. La fame di essere visti da qualcuno che abbia uno sguardo stabile. La fame di potersi fidare di una figura che sappia contenere, sostenere, accompagnare. Non dominare.
Il vero dramma non è che il patriarcato stia morendo. È che stia morendo senza essere guarito. Che lo stiamo buttando via, con tutto il buono che potrebbe ancora contenere.
E infatti, oggi più che mai, non vediamo un ritorno del maschile sano, ma il proliferare del suo opposto distorto: la mascolinità fragile, la reattività rabbiosa, la fuga nella neutralità assoluta, nel rifiuto di ogni presa di posizione.
Se vogliamo davvero un nuovo mondo, non ci basta “distruggere il vecchio”.
Dobbiamo guarirlo. Riconoscere le ferite, sì. Ma anche i bisogni. Integrare il maschile e il femminile dentro di noi, prima che fuori di noi. Dargli spazio, rispetto, ascolto. Restituire al padre il suo posto – anche se non è stato “un buon padre”. Perché il sistema ha bisogno di tutti per ritrovare equilibrio.
Un padre escluso genera figli che faticano ad esistere. Una madre soverchiante genera figli che non riescono a scegliere. E un’epoca che nega l’archetipo maschile… genera un vuoto.
Da dove ripartire?
Forse da un gesto piccolo: riconoscere che la lotta non può essere la via. La lotta è la reazione del bambino ferito. L’integrazione è l’atto dell’adulto responsabile.
E allora, invece di combattere il patriarcato con le sue stesse armi, possiamo imparare a costruire strutture nuove. Autorità nuove. Modi nuovi di stare nel mondo, di educare, di lavorare, di amare.
Possiamo insegnare – ai nostri figli e a noi stessi – che la forza non è violenza. Che la guida non è imposizione. Che il limite non è nemico. Possiamo riconoscere nel padre – anche in quello imperfetto – un’origine. E quando un’origine è onorata, smette di perseguitarci.
Perché il padre non ci chiede di essere perfetto. Ci chiede solo di essere visto.
E il cambiamento che davvero desideriamo parte da qui. Non dalla distruzione, ma dalla comprensione. Non dalla rabbia, ma dall'inclusione.
Siamo pronti a diventare adulti? Siamo pronti a smettere di combattere per iniziare a creare?
Solo allora il patriarcato potrà morire davvero. E finalmente guarire.