Kabbalah. Risposta sul paroketh Fontana Editore

Kabbalah. Risposta sul paroketh

Frater Efes

"Francesco B: Libri presi. Ancora non ho iniziato la lettura… ma ho notato che nel libro di matematica esoterica in prima pagina mettete il velo di paroketh in corrispondenza di daath (più o meno) mentre di solito lo si trova in tipheret… mi spiegate perché?"

Caro Francesco, il libro che tu hai acquistato ha per scopo mostrare e spiegare la profonda differenza esistente fra quanto viene insegnato a livello di base, cioè a quello dei gradi azzurri, a proposito dei numeri come enti in sé e della matematica come linguaggio simbolico ed operativo, per riuscire ad accostarsi alla sorgente di ogni manifestazione spirituale, ovvero alla Divinità. Il testo di cui parliamo parte di una collezione di 4 libri che non è un caso che siano proposti in un cofanetto come unità e presentazione di un solo, unico e coerente discorso; se vuoi una sinfonia in 4 movimenti.

L’autore è un ebreo israelita e cabalista tradizionale. Ma è anche un ex massone e storico della massoneria, ed in questi testi si intende paragonare la Kabbalah Ebraica alle Massonerie attuali rispetto a dottrine ed insegnamenti che siano ancora, in senso lato, comparabili. E tra questi c’è sicuramente la numerologia.

Quando parliamo di numeri, la massoneria – non tutta automaticamente in quanto tale – ma soprattutto quella che si riallaccia al “rito simbolico” e che si è modellata sul lavoro massonico e speculativo di figure come Amedeo Rocco Armentano detto ARA Scalea 6 febbraio 1886 – Sao Paulo (BRA) 14 settembre 1966 e soprattutto del suo allievo e poi confratello Arturo Reghini (Firenze, 12 novembre 1878 – Budrio, 1º luglio 1946) ha fatto proprio della numerologia uno dei suoi cardini. I personaggi in questione, tuttavia, che spesero la loro vita nella riscoperta e promozione del Pitagorismo antico, di fatto ricostruito e “completato” in base agli scarni contenuti che non fossero puramente leggendari, si spesero in modo uguale per la rinascita del “Paganesimo Italico”. Naturalmente tutto questo non può essere di alcun interesse speculativo per un vero mequbal, cioè il cabalista ebraico che opera ancorato al giudaismo. Appare quasi radicale affermarlo in questi termini ma è assolutamente reale: nella Massoneria attuale, così come tre secoli di sincretismi e di colossali pastiches logici, storici e filosofici e riduzionismi l’hanno formata, di kabbalah non ce n’è. Oggetto di un’appropriazione indebita comprensibile e naturale, che è seguita al fatto che, 2000 anni fa, il Cristianesimo Paolino si appropriò del Tana”ch ebraico, al solo scopo di fondare autorevolmente la legittimità messianica della figura di Cristo così come Paolo la inventò come icona di una nuova world-religion, la kabbalah seguì il destino del testo sacro ebraico e venne fagocitato e “riscritto” nell’esoterismo occidentale da Athanasius Kircher ai Rosacrociani ed infine presentato in modo idoneo da servire le ideologie massoniche.

Nella lunga introduzione ai due volumi di Lezioni di Cabalà per Massoni – divisa in due metà tra i voll. 1 e 2 – si illustra ed argomenta abbondantemente sui rapporti ormai impossibili tra Kabbalah Autentica e quello a cui i massoni si riferiscono quando usano di questa parola, e sul fatto che quando parliamo di schema dell’Albero della Vita, dei nomi divini e sefirotici e della simbologia sacra della kabbalah ebraica nella massoneria, parliamo di cose rispettivamente diverse dagli originali ebraici. Questo argomento incredibilmente sembra porsi oggi praticamente come nuovo, per mancanza di consapevolezza nell’esoterismo europeo ed americano della irrimediabile incompatibilità culturale fra pensiero occidentale-cristiano (o agnostico-ateo, che ne è il mero capovolgimento fideistico) e quella forma di relazione trascendentale non-religiosa orientale quale è il Giudaismo e rispetto alla Kabbalah, che ne è la strumentazione operativa, evoluta e di precisione. Non possiamo prendere materiali da quest’ultima e ricopiarli nei sistemi esoterici occidentali e poi argomentare da questi rispetto alla kabbalah ebraica o ad un’ipotetica “Kabbalah Tout-Court” che non esiste.

Questo era per spiegarti, visto che dici di aver appena aperto il libro sulla Numerologia di questa serie, e non essendo probabilmente tu né un ebreo né un mequbal, perché non ti ritrovi nelle partizioni dello schema dell’Albero della Vita Etz Chayim, che ti sono invece più familiari. Probabilmente tu ti fondi nei tuoi studi su illustrazioni definite cabalistiche, ma prodotte dalle varie scuole, ordini e tradizioni di pensiero dell’esoterismo occidentale a cui abbiamo fatto sopra riferimento. E ne consegue, non una perplessità e difficoltà nel ritrovarsi, ma una impossibilità reale.

Quella che vedi nel volume invece è un’illustrazione cabalistica autentica nell’ambito della Kabbalah Tradizionale Ebraica. Se osserverai bene la parte bassa dell’albero, vedrai che da Malkhut c’è una unica via che porta a Yesod. Tra l’altro quei percorsi che in occidente si nominano “vie” in ebraico sono “sekhelim” = intelletti, ovvero modalità di impostazione del funzionamento mentale. Nel libro, infatti, compare lì l’albero della Kabbalah lurianica, quella dominante nel mondo ebraico, opera del maestro Yitzhaq Ben Shlomo Ashkenazi Luria detto l’AR”I Ha Qadosh (1534 -1572). L’esoterismo occidentale, che si appropriò della simbologia cabalistica per perseguire scopi totalmente diversi, questo albero non lo usa. Prese invece a copiare l’Albero del maestro e collega di Luria nella scuola cabalistica di Safed in Galilea, Moshe ben Yaaq’uv Kordovero (1522-1570), e che è detto Etz Chjayim Kordovero-Toledanico. È quello in cui da Malkhut si vedono propagarsi tre collegamenti verso Yesod, Hod e Netzach. La massoneria li usa per scopi diversi, tra cui quello che personalmente ritengo simpaticamente nefando, di fondare così la bipartizione tra “Vie della Mano Destra” e “Vie della Mano Sinistra”, ovvero “Via Umida” e “Via Secca”, in cui le seconde contrappongono all’Albero della Vita un ipotetico “Albero della Morte” luciferino-satanico in cui alla Sefiròt si contrappongono le Qliphòt, cioè “i gusci, gli scarti”, sostenendo che entrambe condurrebbero alla Verità. Secondo la mia modestissima opinione è come dire che la strada per arrivare al Gusto la puoi percorrere tanto mangiando il prosciutto quanto in alternativa leccando la carta unta dove l’hanno avvolto per portarlo a casa. È la stessa cosa?

In ogni caso, in entrambi gli alberi ricavabili dalle dottrine di questi maestri - che non venivano mai disegnati per il divieto di fare immagini della divinità (che i cattolici hanno comodamente abolito dal loro decalogo), non compaiono su di un libro ebraico prima del 1564, anno di uscita dell’edizione di Cracovia dello Zohar - il c.d. Velo di Parokhet (che non è disegnato) sta esattamente lì dove lo vedi, messo in modo da separare da un “abisso” le prime tre Sefiròt, quelle che secondo il mito cosmogonico di Luria non si ruppero quando la Divinità colò la Luce Assoluta in essi, dal resto delle altre sette.

Sei di queste - cioè le restanti meno Malkhut - sono le cosiddette “Middòt”, cioè mediane, quelle in cui sono ubicate e raccolte le istanze essenziali dello spirito umano incarnato. Poste in una sorta di schema ad esagono, vedono al centro l’esagono di Tiph’ret - corrispondente alla Grazia, alla Bellezza, all’Armonia, ma soprattutto alla Misericordia ed all’Equanimità (Histavvùt) – ma soprattutto sono uno schema in cui queste qualità “vestono” la figura archetipale del Giovane Volto o Zeir Anpin che è il Partzuf residente. Al vertice di questa struttura posizioniamo la non-sefirah, ma proiezione sefirotica riflessa di Keter, che è “generata” dalla sintesi Chokhmah-Binah e che interviene come presupposto di qualsiasi pensiero parola ed azione umana, in quanto “Conoscenza”. È il Da’at di cui parli. Chi impara a conoscere le Middòt riesce a gestirle e regolarle in modo opportuno ad assicurare la propria elevazione e la propria realizzazione materiale in base ad una linea operativa che potremmo definire omeostatica. Questo equilibrio dinamico, mantenuto in modo costante, che caratterizza il tipo del saggio/santo cabalistico, lo Tzadik, è la realizzazione della “rettificazione del carattere” o “Tiqùn ha Middot”, che ciascuno deve conseguire per partecipare al “Tiqùn ha Olam”, cioè alla indispensabile rettificazione del Mondo attraverso la Storia.

Ecco perché Parokhet sta lì nella Kabbalah ebraica.

Inoltre, in base alle scoperte che l’autore ha compiuto, allineandosi ad una ristrettissima serie di studiosi che indagano in questa direzione, l’Albero della Vita cabalistico è in realtà una rielaborazione di una più antica struttura Mazdeista persiana ad 8 centri, e non dieci. I mequbalim hanno preso il centro superno e l’hanno suddiviso in tre centri, che sono appunto le tre sefiròt superiori poste al di sopra del velo di parokhet, corrispondenti anche alla suddivisione teologica ebraica della mente divina in tre sezioni principali dette in aramaico: Resha d’Ain (Capo del Nulla), Resha d’Arich (Capo Infinito) e la Resha de Lo Ityadàh (RADLA) (Capo che che non conosce e non è conosciuto) che graficamente poi si collocano in modo assai complesso, che per essere compreso richiede la conoscenza del funzionamento frattale delle sefiròt, che a loro volta contengono in sé stesse infiniti alberi frattali di sé, analoghi a quello generale superiore a cui appartiene la sefirah in questione, e con il quale si relazionano direttamente a catena.

Per questi motivi dunque Da’at (Conoscenza) è a cavallo del Velo di Parokhet come sintesi del Mondo di Atzilut (Prossimità) e contemporaneamente come precondizione (quasi come l’Ich Denke di Kant) del mondo di Ber’iyah (ideazione creativa).

Spero di Aver risposto alla tua domanda in modo soddisfacente e di aver contribuito ad orientarti nelle prospettive del libro che stai leggendo, e più in generale sul mondo delle sapienze tradizionali ed esoteriche e della loro reciproca, e spesso non agevole, relazione.

Shalom

Frater Efes

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