La candela ed il rabbino. Un’apologo di Hanukkah Fontana Editore

La candela ed il rabbino. Un’apologo di Hanukkah

Durante questa Hannukah del 2020-5781, un anno terribile per molti motivi, e che lascerà a tutti i livelli un’ eredità pesante nel prossimo futuro, è bello potersi raccontare storie di speranza. Questa raccontatami da un Maestro di kabbalah è una di queste.

In una yeshvah, alla fine della sessione di studio, uscendo, uno degli allievi più giovane approcciò il suo rabbi e gli disse:
“Rabbi è meraviglioso ascoltarti mentre spieghi e poi vedere come sai essere di aiuto e di consiglio per la gente del quartiere, ma al contempo quanto sai lavorare da solo alla tua crescita spirituale come se avessi appena incominciato il tuo cammino, come se fossi ancora un ragazzo come me. Ma se dovessi sintetizzare in una sola frase l’essenza di ciò che sei, quale sarebbe questa frase?”

Al che il Rabbi sorrise ed incominciò a spiegargli:
“Ti è mai capitato di trovare un cassettone e di andare a rovistare nei cassetti? E trovare per esempio un panetto di cera avanzata che stava lì da tempo, mentre in un altro cassetto trovi un pezzo di spago troppo corto per essere usato per legarci qualcosa? Bene. Questi due oggetti erano stati abbandonati lì perché in se stessi non sembravano essere utili, a meno che qualcuno avesse in mente di usarli per fare qualcosa di preciso. Se tu prendessi la cera e la lavorassi col calore della mano, riusciresti ad appiattirla alla fine su di un tavolo. E se a questo punto prendessi lo spago e lo mettessi sulla sfoglia di cera e poi la arrotolassi tutta intorno ad esso, pressando ben bene finchè diventino una cosa sola, saresti riuscito a fare una candela una candela. E così è per l’essere umano. La cera è il suo indispensabile corpo, lo spago è la sua anima essenziale. Separati nulla possono, ma uniti insieme possono fare moltissimo. Così come la candela diffonde con la sua fiamma luce e calore intorno a sé, illuminando e riscaldando, nel suo piccolo, il Mondo, allo stesso modo la persona di fede diffonde intorno a sé amore e significato, ed illumina il futuro con la speranza”.

Al che il ragazzo rispose: “E’ bellissima questa immagine Rabbi. Ma tu non mi hai ancora risposto. Che cos’è veramente un Rabbino?”
“E’ quello che passa ed accende la candela”, rispose il Maestro.

Questa storia la voglio dedicare innanzi tutto a tutti i filosofi, teologi e religiosi che avendo divinizzato Platone e poi il neoplatonismo, vedono nel corpo il carcere dell’anima, nel Mondo delle Idee la perfezione archetipale mentre nella Natura ci sarebbe solo materia e caos.

Il giudaismo distingue solo funzionalmente un concetto che chiama “Guf” cioè corpo, dalle cinque anime dell’uomo.  Nefesh (נפש), Ruach (רוח), Neshàmah (נשמה), Chayiah (חיה) e Yechidah (יחידה).

Le prime tre sono inerenti al corpo e producono effetti nel corpo e nella mente: Nefesh (l’anima vitale, che pervade e muove il corpo, connessa con la presenza del respiro), Ruach (lo spirito emozionale visto anche come canale per la penetrazione ed azione nell’uomo di poteri e forze esterni ad esso) e Neshamah (l’anima del pensiero astratto, razionale, coricale, anima della volontà e dei ragionamenti superiori).
Le ultime due sono aure esterne al corpo, anzi piuttosto descrivibili come dimensioni dell’essere a cui l’uomo tramite la pratica e la fede arriva a percepire fino a prenderne consapevolezza e infine ad “abitare” man mano che rettifica se stesso: Chayah (l’anima mundi, o anche altri concetti che in parte ci si avvicinano come quelli di “inconscio collettivo” in Jung o di “archivio akhashico”. Chayah collega tutti gli esseri umani tra loro ed è il campo in cui tutte le anima comunicano fra loro in modi che possono comprendere anche la telepatia e la premonizione) e Yechidah (che è la suprema appercezione trascendentale e status mentale in cui si è consapevoli che Uno è Tutto e che Tutto è Uno e che nulla di noi stessi, esseri temporanei e provvisori in quanto entità apparentemente separate è estraneo o esterno ad questa Realtà. Paragonabile in certa misura e natura al Samsara o, più in generale, all’Illuminazione).

Queste due ultime dimensioni sono esterne all’Uomo e non direttamente influenti sul suo corpo-mente, ma sono raggiungibili dallo tzadik. Che è qualcuno che ha lasciato il suo ego e che si è rettificato ed elevato pur vivendo ed agendo nel mondo, anzi attraverso il suo essere ed agire nel mondo guidato da una luce.

Ma cosa deve fare lo tzadik per raggiungere questi livelli? Essenzialmente e primariamente compiere le Mitzvot. Osservare cioè i comandamenti datici con la Torah.

Il Talmud (trattato Makkoth 23b) stabilisce che la Torah contiene 613 mitzvot delle quali 248 sono מצות עשה (mitzvot aseh, comandamenti positivi, obblighi) e 365 sono מצות לא תעשה (mitzvot lo taaseh, comandamenti negativi, divieti): i precetti positivi obbligano a compiere una determinata azione (come ad esempio l'obbligo della circoncisione maschile); quelli negativi vietano di fare una determinata azione (come ad esempio il divieto di indossare capi composti da lana e lino insieme detti Shaatnez). Il numero di questi precetti è sicuramente carico di significati simbolici: come ci insegna la Tradizione Rabbinica 248 era considerato infatti il numero delle ossa del corpo umano e 365 sono notoriamente i giorni dell'anno (inoltre i legamenti che collegano tra loro le ossa); attraverso questi numeri la Torah quindi vuol dire che con le nostre 248 singole ossa dobbiamo compiere le 248 azioni prescritte e che ogni giorno dell'anno dobbiamo impegnarci a non violare i 365 precetti negativi.

Si possono realizzare le mitzvot solo con l’anima? Il Giudaismo dice assolutamente di no. Il Corpo compie le mitzvot in unione con l’anima che lo dirige. Il Corpo fa esperienza fisica e diretta delle mitzvot e di questi contenuti empirici nutre ed informa l’anima, come un maestro istruisce l’allievo. Per questo ad esempio non si somministra anestetici durante la circoncisione: il corpo deve fare tutta la possibile esperienza fisica della mitzvah del Brit Milah. E questo non è crudele ma sapienziale.

Infatti nel giudaismo una persona umana è sia un’anima che fa l’esperienza dell’avere un corpo, sia un corpo che fa esperienza consapevole del mondo e della vita perché è animato da uno spirito. Nessuno dei due è superiore all’altro o meno utile dell’altro. Diversi, solo uniti possono manifestarsi nel meglio delle loro rispettive potenzialità. Se l’anima è per definizione – essendo un frammento consustanziale dello spirito Divino - è immortale non di meno lo è il corpo perché tutta la materia di cui è fatta è sostanza emanata ugualmente da D-o stesso che ha tratto da Se stesso quell’energia (E = mc2. Materia ed energia sono due forme della stessa essenza mutuamente reversibili in uno stato e poi nell’altro).

La Kabbalah usa come sua immagine centrale non per caso il concetto di LUCE e ne distingue numerosi tipi e specie con distinte proprietà ed intensità. Ebbene che altro è la luce se non qualche cosa che sappiamo essere unico, ma che tuttavia possiamo sperimentale sia in forma di materia cioè i FOTONI (la c.d. forma corpuscolare della luce) ma anche in forma di energia cioè la natura vibrazionale misurabile in LUNGHEZZA D’ONDA della luce stessa (la sua forma ondulatoria)

La Kabbalah dunque conduce naturalmente chi vi si dedica ad un approccio al Divino che è NON-DUALISTICO. O come dicono i miei amici Chassidim “Ein od Milvadò” > “Non esiste altro che Lui”. L’Eterno infatti è l’unica entità di cui si possa dire che “è”, assolutamente, eternamente, totalmente.

E chiudendo questo ampio discorso voglio dire che non è necessario essere Rabbini o Tzadikim, per fare luce o per canalizzare e diffondere la Luce.

Amatevi gli uni gli altri. Accendete voi la candela del vostro prossimo. E se non vi riuscite da soli, oppure con un colpo di vento gelido la vita ve la spegne, qualcuno con amore accenderà la vostra.

Buone riflessioni di Hanukkah

Con amore il vostro

Tzuriel.

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