La Scienza non è una certezza ma una continua innovazione Fontana Editore

La Scienza non è una certezza ma una continua innovazione

Leonardo Anfolsi

Con una mossa molto strana per la storia del pensiero, di colpo, l’epistemologia – termine che si riferisce da sempre all’episteme ἐπιστήμη cioè al domandarsi ultimo – diventò la disciplina riguardante la conoscenza certa e il come tale conoscenza possa essere possibile; in più divenne la disciplina che celebrò la storia di questa nuova tendenza in evoluzione.

Sottolinenando questo fatto voglio mostrare un piccolo disastro: il passaggio da una possibile ricerca dei fatti a una vera e propria religione-di-massa-dei-fatti-concordati.

Eppure per Platone l’episteme era la verità dettata dal ragionamento (diànoia) e dall’intuizione (noesis = ispirazione noetica) che viene dalla comprensione dei fatti presi come tali, cioè guardati da un silenzio assordante, da uno stato di contemplazione ascetica non comune, ottenuto con grande dedizione e insistenza, del tutto simile allo stato meditativo ottenuto nella meditazione buddhista, tradotta allora in greco come eusebeia,εὐσέβεια

Episteme significherebbe in essenza ciò che si tiene da sé, quindi è l’evidenza della realtà stessa, qualcosa di cui si può parlare solo con grandissima cautela e non in termini di fede, di accademismo o di identità, e che quindi non può essere divulgata.

Una delle superstizioni scientifiche che più accomuna chi non capisce la scienza, e quindi nemmeno l’episteme, è una fede vaga quanto pervicace: quella di vivere nel migliore dei mondi possibili grazie ad una continua scoperta di nuovi ritrovati destinati a migliorare sempre più le condizioni di vita dell’umanità.

Che questa idea sia falsa oltre che ottenebrante, viene chiaro quando ci accorgiamo come la scienza (comunemente confusa con la tecnologia) non dia in realtà il suo beneficio a tutto il genere umano né al suo meglio, ma di come, anzi, sia sottoposta totalmente al calcolo economico di terzi.

Quindi i personaggi di questo dramma sono, come sempre:

  1. chi produce scoperte, oppure stupore, narrazione o certezza,
  2. chi dovrebbe fruirne su scala sociale,
  3. chi davvero ne fruisce (abbiente – eletto – gestore).

All’interno di questa dinamica sappiamo che uno o più personaggi vi credono fermamente al posto di guardarne gli aspetti e riconoscerne le zone d’ombra.

I fruitori veri, un tempo, erano i nobili o i principi della chiesa, mentre oggi sono istituzioni private a carattere sovranazionale. Questa ultima realtà potrebbe anche non riguardarci, tranne che invade e tende a manipolare informazioni, scoperte, ricerche, invenzioni e l’uso di tutto ciò.

Chi è di bocca buona vede in ciò un complotto, chi vuole capire questo gioco ne vede invece senso comune reso credibilità politica, calcolo economico, attaccamento identitario a ruoli.

Essendo la scienza un fenomeno di massa oramai da più di due secoli, viene lampante come subisca le stesse deviazioni e alterazioni che si ebbero nelle religioni di massa, ovvero tutte quelle pressioni derivate dall’inconscio collettivo e dalla massa critica di coloro che della scienza hanno fatto la loro fede e, conseguentemente, hanno fatto del loro lavoro di ricerca o attuazione un sacerdozio.

Oltre al fatto identitario e a quello economico, capaci di inquinare in profondità i risultati di ogni ricerca scientifica, tali risultati si possono considerare come il prodotto di passate teorie oramai cristallizzatesi in certezze; e ciò anche se tali risultati vengono considerati una innovazione, il che mostra chiaramente come sia difficile – su tali basi - accogliere tutte le possibili variabili che la realtà e la ricerca più sincera ci offrono ogni istante; sulla carta dovrebbe essere così, essendo la scienza un campo fecondo di infinite variabili da esplorare, ma così non è mai, e ciò si riflette nell’atteggiamento identitario di quasi tutti gli addetti ai lavori.

Come diceva il famoso fisico David Bohm:
“A che ci sia un cambiamento nella teoria, necessita che tutta una generazione di fisici muoia”.

Un caro amico fisico mi ha raccontato di come i suoi colleghi, convinti di una nuova teoria del tutto bislacca, abbiano fatto spendere miliardi in accelleratore di particelle e altre strumentazioni alla comunità europea, per non ottenere il nulla che già lui aveva previsto, e di come sia stato velatamente minacciato dai colleghi che avevano interesse di ricevere quei finanziamenti.

Ovviamente il conoscente in questione non mi permette di fare il suo nome.

Da quanto detto deriva l’intuizione fondamentale che quando si parla di scienza di confine stiamo in realtà evocando tutte quelle ricerche che sono state lasciate perdere per seguire il flusso delle correnti principali – il famoso main-stream – deviazioni sempre motivate da necessità oblique, ovvero inconscie, se non meramente commerciali e/o politiche.

Come si è detto, un fattore ancora più pericoloso è, di questi tempi, la credibilità politica, un aspetto della real politique che sta orientando la decisione di stati sovrani verso l’interesse di privati ben paganti o molto capaci di rappresentare in termini convincenti la loro proposta; in passato così è stato per il nucleare, oggi è per l’ipervaccinismo.

Conoscendo la più crassa mentalità americana, si può giungere a immaginare che la scienza potrebbe perfino prendere spunto dalla fantascienza, e non ci sbaglieremmo di molto, perché ciò avviene puntualmente, semplicemenete per il fatto che gli scienziati sono uomini; per capire la serietà di ciò, dovremmo considerare come, in media, vi sia la mancanza d’una sincera preparazione umanistica negli scienziati, fatto che in loro sovente crea una voragine di presunzione proiettiva su ogni argomento, indirizzo, disciplina, persona, solo perché l’ideologia riduzionista implica un materialismo che tutto spiega e che rifulgerebbe di per sé, in quanto verità evidente (decadimento del concetto di episteme in doxa) che, in realtà, ancora una volta, si vuole evidenziare come verità rivelata.

E perciò non necessitante di una dimostrazione grazie alle sue coordinate perfette; e possiamo capire bene come ciò sia attanagliante più di ogni verità rivelata precedente.

Oggi riusciamo a definire con una precisione millimetrica la nostra posizione cartografica nell’universo, e riusciamo persino, con uno strumento elettronico, a rilevare alfanumericamente tale posizione; eppure il concetto di “mappa” ce lo siamo inventato noi e non sta al centro dell’universo.

E soprattutto non è la verità, dato che dovendo trovare – per esempio – una persona da amare, o a cui chiedere qualcosa di inusuale, dobbiamo essere disposti a smarrirci nel labirinto della vita evitando proprio il caso, le abitudini, il calcolo, le mappe e le coazioni.

Gregory Bateson, per farci presente questo, usò il celebre motto: “La mappa non è il territorio”.

Fortunatamente, ogni secolo, avvengono dei “ritorni”, si accendono delle potenzialità sopite da lungo tempo, intuizioni che si risvegliano nella memoria collettiva, possibilità imprevedibili fino al giorno prima, ma che in realtà sono fatti concreti; a meno che non si voglia continuare a vedere i fatti attraverso le teorie, al posto – come sarebbe per affermazione di principio – costruire delle teorie scientifiche non conchiuse e sistemiche, ma davvero aperte a ogni variabile e, soprattutto, in base ai fatti. Questo banale errore di valutazione, visibile tuttavia ai veri filosofi e non agli “scienziati”, mi pare che sia, infatti, la radice di ogni attuale problema.

Cito ancora Bohme:
“Qual è la fonte di tutti questi problemi? Sto affermando che la fonte è principalmente nel pensiero. Molti potrebbero pensare che questa è una follia, considerando che il pensiero è l'unica cosa che abbiamo per risolvere i nostri problemi e che fa parte della nostra tradizione farne uso; eppure sembra che ciò che usiamo per risolvere i nostri problemi sia la fonte stessa dei nostri problemi. È come andare dal dottore per restarne contagiati”.

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