Dio è un Verbo, precisazioni e rilancio
È davvero necessario ora spiegare meglio il significato dell’affermazione Dio è un verbo, che è volutamente spiazzante, che ha un effetto apparentemente distruttivo delle nostre strutture mentali tradizionali e che può lasciare un senso addirittura di smarrimento e di angoscia in qualcuno che non sia preparato ad accostarsi a questa ipotesi.
Nessuno qui sta dicendo che se volete continuare a pensare ed a rivolgersi al Divino come se si trattasse di un soggetto, infinitamente unico e peculiare nelle sue qualità, questo sia “sbagliato”. Non lo è, assolutamente. Vuoi pensare a Dio in relazione con Te, con la tua anima nei termini Amante/Amato, come faceva Rumi? Benissimo, se questa è la via che ti realizza e ti mette sulla strada del senso ultimo della tua vita e delle cose. Hai bisogno di pensarlo come una sorta di genitore trascendente, un Padre, una Madre che dall’alto ti guarda, ti comprende, ti sostiene, ti perdona, ti accorda grazia e ti sottopone a prove per farti crescere? Fallo, continua a pensarlo così se questo è ciò che serve a metterti nel processo del divenire e del dispiegamento della Creazione. Hai bisogno per via del tuo vibrante senso etico di pensarlo come un Giudice finale che ci darà la Giustizia Perfetta ed Universale, raddrizzando i torti immensi ed apparentemente impuniti e coronati da scandaloso successo che rendono greve ed amara la vita dei giusti? Se questo pensiero di Dio come Giudice della verità ti aiuta a continuare ad essere etico, e compassionevole, disposto ma non ricambiare il male col male ma replicare con la luce alla tenebra, allora che sia così. Potremmo andare avanti così all’infinito.
Le possibili relazioni tre Dio e gli esseri umani sono alla fine tutte uniche, anche se si assomigliano. Sono tante quanti sono gli umani. Per questo nella dialettica tra l’”Uno ed i Molti”, che nella Mistica moderna chiamiamo “the Primary Tension”, è importante che Dio possa coniugarsi nelle forme di cui i Molti abbisognano per poter entrare in una relazione comprensibile, vivibile ed efficace con Esso. Ma Esso, nella sua Essenza, non può che essere Uno, ma non un soggetto, perché questo gli darebbe delle dimensioni, una forma concettuale che non è possibile esista al livello ultimo, quello dell’Ein Sof. Per questo, dato che noi usiamo per pensare e comunicare il linguaggio, la cosa meno erronea, se proprio vogliamo parlare di cosa sia Dio, cosa che a mio giudizio è impossibile proprio in termini, allora lo definiremo come un verbo. Un verbo se vogliamo proprio aggiungere qualcosa di per noi (non per Dio) determinante che definiremmo VERBO MUTUAMENTE INTERATTIVO.
Ma che cosa vuol dire questa cosa? Vedrai tra poco, nelle parole di Rav David Cooper, che la spiegazione del significato di questa espressione la rende illuminante e del tutto comprensibile. Uno dei grandi mistici ebrei, Abraham Abulafia (XIII secolo), disse di colui che ha raggiunto questo livello di consapevolezza super-conscia sulla universale presenza e manifestazione della divinità, quella che ‘Ibn Arabi descrisse e che dopo di lui i Sufi chiamarono Wahdat al Wujud (Unicità dell’Essere e unità dell’Esistenza): "Ora non siamo più separati dalla nostra fonte, ed ecco, noi siamo la fonte e la fonte siamo noi, siamo così intimamente uniti con Essa, che non possiamo in alcun modo esserne separati, perché Noi siamo Essa". Questo è, espresso in altre parole, esattamente quello che disse uno dei primi sufi in maniera troppo icastica per essere compreso dai suoi contemporanei, Mansur Hallaj che disse “Io sono la Verità”. Non fu capito e per questo considerato un eretico e fu messo atrocemente a morte nell’anno 922 di questa era.
In una bella storia Sufi un uomo che gridava costantemente a Dio, ma non riceveva risposta. Dopo un po' il Diavolo sussurrò a quest'uomo: "Quanto tempo aspetterai che Dio risponda 'Eccomi' a tutte le tue suppliche?" Questa insinuazione spezzò lo spirito di quell'uomo che smise di invocare Dio. In un sogno, tuttavia, l’uomo immaginò un'immagine del Divino che gli chiese perché si fosse fermato nelle sue invocazioni. L'uomo disse che Dio non aveva mai risposto alla sua chiamata. La saggia immagine del sogno, che rappresenta Dio, allora gli disse: "Non ti sei reso conto che ogni tua chiamata È essa stessa la mia risposta?"
Che cosa significa? Significa che l’impulso di invocare Dio riceve sempre una risposta simultanea mentre viene pronunciato, poiché alla fine non c'è differenza tra chi chiama e ciò che viene chiamato.
Un famoso rabbino contemporaneo con vaste conoscenze di kabbalah, il rabbino David Aaron, si è pronunciato in modo chiaro e molto radicale in questo stesso senso parlando del senso della PREGHIERA. Si chiede, perché preghiamo? A chi ci rivolgiamo? Il grande antropologo Dumezil fu trai primi che dissero che esistono solo 3 generi di preghiera presso tutte le culture religiose:
1) la preghiera di Lode;
2) la preghiera di Richiesta;
3) la preghiera di Ringraziamento.
Rav Aaron dice a proposito della prima che Dio non ha alcun bisogno che qualcuno da quaggiù gli ricordi quanto è grande, infinito, eterno ed onnipotente. Idem per la Richiesta, perché non c’è nulla che noi sappiamo e di cui pensiamo di avere necessità impellente per andare avanti nella vita che Dio, colui che conserva e supporta la vita della sua Creazione, già non conosca perfettamente. E quindi il Ringraziamento è già noto al Divino nel momento stesso in cui la meraviglia, la commozione, la gratitudine prorompono dalla nostra anima al pensiero che Dio ci ha esaudito, che Dio si è ricordato amorevolmente di noi. Ma allora per chi preghiamo? A chi ci rivolgiamo? Abbi Aaron dice: “A noi stessi”. Siamo noi che necessitiamo di ricordarci quale sia il posto che occupiamo nella scala dell’essere e chi ne è l’origine e perché. Siamo noi che dobbiamo mettere a fuoco quali sono i nostri bisogni essenziali in base alla scala dei valori che ci guida nelle scelte della vita. Siamo noi che dobbiamo imparare ad essere grati e di percepire il valore unico di ogni istante prezioso del nostro tempo in questa forma che chiamiamo “Io”.
Il famoso maestro chassidico il Kotzker rebbe, ovvero Menahem Mendel (XIX secolo), che visse i suoi ultimi vent'anni in isolamento volontario, chiese un giorno ad uno dei suoi studenti: "Dove dimora Dio?" Mentre lo studente inciampava nel suo tentativo di rispondere, il Kotzker rebbe rispose alla sua stessa domanda: "Dio risiede ovunque lo lasciamo entrare!"
I mistici nel corso del tempo, in tutte le tradizioni, hanno TUTTI detto la stessa cosa. Non dobbiamo cercare Dio perché la presenza del Divino permea tutte le cose. Se c'è una ricerca in corso, è solo quella di Dio che cerca sé stesso, se così vogliamo esprimerci semplificando in modo estremo. Per questi motivi, il massimo che possiamo avvicinarci a pensare a Dio è come un PROCESSO piuttosto che come un SOGGETTO. Possiamo pensarlo come "essere", ma essere inteso come verbo piuttosto che come sostantivo.
Forse ci aiuterebbe a capirlo meglio se rinominassimo Dio. Potremmo chiamarlo (NdT* così nella versione inglese originale) God-ing, cioè come un processo, piuttosto che Dio, che suggerisce un sostantivo.
In italiano personalmente propongo provvisoriamente “Esse-ndo” nel senso di “Di-ando” (God-ing), in attesa che qualcuno trovi una soluzione migliore. Questa idea è stata sviluppata dal rabbino Zalman Schachter-Shalomi, che ci ha spiegato che il tipo di verbo che rappresenta “God-ing / Essendo” è diverso da quelli che abbiamo nel nostro linguaggio ordinario. La maggior parte dei nostri verbi sono considerati transitivi, che cioè richiedono un oggetto diretto, oppure intransitivi, quelli che non lo richiedono. Suggerisce che “Esse-ndo” è un verbo MUTUAMENTE INTERATTIVO, che implica UN'INTERDIPENDENZA FRA DUE SOGGETTI, ciascuno essendo l'oggetto per l'altro.
Come scintille divine umane incarnate noi siamo da sempre dentro all’evento in corso, eternamente descritto dal verbo “Esse-ndo”, ed in questo verbo vorticano vertiginosamente inter-allacciati il soggetto Divino che è oggetto per l’Uomo e l’Uomo che è l’oggetto del soggetto Divino.
Questa idea di Schachter-Shalomi, per chi conosca la storia della filosofia ed il pensiero chassidico esistenzialista moderno, riecheggia visibilmente l’idea della relazione primaria tra Creatore e Creatura definita come “IO-TU” da Martin Buber.
Ad esempio, "COMUNICARE" potrebbe essere un esempio di verbo “mutuamente interattivo”. Se stessi parlando a un pubblico, potrei anche non riuscire a comunicare. Sarei impegnato nell'atto della comunicazione, ma se il pubblico non fosse attento e stesse pensando ad altre cose, non comunicherei, non importa quanto parli. La mia comunicazione verbale dipende dall’esistenza di un ascoltatore; non può essere una strada a senso unico. Altri verbi ovvi che rientrano in questa categoria sono amare, condividere, ballare, baciare, abbracciare e così via.
Possiamo riferirci a Dio come un verbo interattivo. È God-ing, Esse-ndo. Inoltre, da questa prospettiva, la creazione non dovrebbe essere trattata come un sostantivo. Anch'essa è un verbo interattivo; è costantemente in creazione, è un processo in dispiegamento. Ogni parte dell'universo è in relazione dinamica con ogni altra parte. Nelle interazioni umane, come il matrimonio, un partner è marito mentre l'altro è moglie. I due, in questo senso, sono uno. Normalmente sperimentiamo le relazioni in termini delle loro parti componenti; ci sbagliamo, tuttavia, quando assumiamo che le parti siano separate.
È importante ricordare che il concetto di God-ing / Esse-ndo è un modo per noi di avere una relazione con il Divino. Questo però non deve essere confuso con una relazione con Ein Sof. Molti nomi di Dio sono inclusi in Ein Sof; God-ing è un nome, un nome che sembra essere un verbo piuttosto che un sostantivo.
La vera scoperta dell'intimità della nostra relazione in corso con il Divino può cambiare radicalmente le nostre vite. Succede spesso spontaneamente, senza una ragione. Alcuni chiamano questa esperienza "GRAZIA". Nasce dal nulla. Siamo seduti sulla spiaggia, camminiamo nei boschi, ci prendiamo cura di qualcuno che sta morendo, anche guidando in autostrada e all'improvviso veniamo sopraffatti da una strana luce che penetra nella nostra coscienza e non siamo più gli stessi. Leggiamo resoconti di tali trasformazioni ed esperienze di conversione che hanno cambiato il mondo.
Occasionalmente, gli individui si dedicano a una vita spirituale a causa di tali esperienze. Tuttavia, LA MAGGIOR PARTE DELLE PERSONE CHE SI IMPEGNANO IN UN PERCORSO INTERIORE LO FANNO PERCHÉ DESIDERANO CONNETTERSI CON LA VERITÀ E IL SIGNIFICATO. Questo impegno di solito implica intraprendere una varietà di pratiche che diventano parte della propria vita quotidiana. Possono includere MEDITAZIONE, PREGHIERA, MOVIMENTO, DIETA, AUTOCONTROLLO, PERIODI DI ISOLAMENTO, MANTRA, SERVIZIO, ATTI DI GENTILEZZA AMOREVOLE E ALTRE TECNICHE TESTATE NEL TEMPO PER ALTERARE LA COSCIENZA ORDINARIA e consentici di connetterci con la dimensione super-conscia dell’Esse-ndo che si sta dispiegando ovunque, anche in noi che ne siamo totalmente parte.
Alla fine, quando le priorità del praticante sono chiare, la luce interiore della consapevolezza si illumina lentamente e la sua percezione della realtà cambia costantemente. Sul sentiero spirituale, o attraverso un brillante lampo di intuizione, o nel lento e costante progresso della pratica continua, otteniamo la saggezza. Non è conoscenza intellettuale, ma saggezza - una conoscenza profonda - inspiegabile, indescrivibile e squisita oltre ogni immaginazione. Questa saggezza è la fonte della vera esperienza mistica, la forza motrice di ogni ricerca spirituale. È ciò che ci sostiene quando ci troviamo di fronte ai dubbi, ci nutre quando il mondo sembra desolato e ci conforta quando affrontiamo la morte dei nostri cari. Senza di esso, dove ci rivolgeremmo? Cosa saremmo senza la grandezza e la forza, senza l’energia e la luce del Dio inconoscibile?
Non c'è risposta a questa domanda; non possiamo provare nulla su Ein Sof. Piuttosto, è un'indagine che riflette su se stessa. Tuttavia, se vista dalla prospettiva della nostra relazione dinamica con il Divino, è una domanda che si auto-avvera, perché paradossalmente la fonte della domanda è la risposta che cerca.
"Cosa sarei senza Dio?"
Grazie per la vostra paziente attenzione. Vi benedico affettuosamente augurandovi la piena realizzazione delle vostre vite.
(a commento di brani tratti dall’introduzione di “God is a Verb” tradotti dall’originale inglese di Rav David Cooper da Tzuriel Trevi.)
1 commento
oooooooooooo quanto sono felice di poter trovare un po di conforto nel dubbio di non essere solo a pensare nel mio essere microscopico a dialogare con …..LA LUCE …..GRAZIE