Eggregore sociopatica vs uomini onesti. Commenta il Golem Fontana Editore

Eggregore sociopatica vs uomini onesti. Commenta il Golem

Leonardo Anfolsi

Eggregore sociopatica vs uomini onesti - la partita è trasmessa in differita col commento de Il Golem.

Un inganno in cui caschiamo facilmente, noi benevole gentildonne e onestuomini, è credere che tutti gli altri siano come noi: onesti, probi o, almeno, non orientati alle malvagità più estreme.

In realtà non è così – lo sappiamo bene - e sarebbe banale spiegarne il perché, basterebbe davvero capire cosa ha detto Freud per riconoscere un ulteriore tradimento epocale oggi in voga: il suo. Lui si fumava il sigaro, tirava di coca e portava nella tomba un tumore alla bocca; essendo materialista, quindi, ma senza pagarne quelle conseguenze che invece noi ci ritroviamo sulla coppa se si finisce intubati, irradiati, chemioterapizzati, a fumare fetenzie liquide, o intossicati in coma farmacologico.

Ma ecco che possiamo prefigurare un altro possibile errore scivolando nelle “categorie dello spirito”, ma sempre in chiave “psychoanal”; ecco allora un esempio banale col quale, tuttavia, introduco qualcosa che diverrà interessante. Iniziamo:  se, supponiamo, tifiamo per l’Inter, ecco che siamo facilitati nel credere che tutti gli interisti siano buoni e bravi come noi, mentre succede che un ultras interista, lottando con uno barese, spintoni anche noi interisti “normali” facendoci inciampare. Passavamo di lì e abbiamo visto tutto -  la rissa era partita dalla tifoseria interista - nonostante ciò, involontariamente, continueremo a pensare che c’era un buon motivo per la rissa, e questo anche se ne siamo rimasti implicati. La nostra mente si concentra sullo sputo del barese perché non vorrebbe vedere lo spintone dell’esagitato interista. Spirito di parte? Campanilismo? Desiderio di non passare in massa per cattivi?

A questo punto, ecco che, in ordine sparso… Chi è più ricco o più povero di noi, chi è più furbo o meno furbo di noi, chi, non ci somiglia; sta per diventare “molto sbiadito” - lascialo perdere! - se non “cattivo”. Ma c’è dell’altro:  di colpo ecco appare un’ombra inaspettata, dalla quale saprai vedere qualcosa, cattedrale o pulce, non mi riguarda, ed è il terzo errore.

Il terzo errore si chiama “implicazione”, ma in un senso più particolare e profondo dell’appartenenza di cui si è detto. Dove mi porta l’agire così? Dove è quel punto oltre il quale non posso vedere? Cosa potrebbe accadere subito dopo? Posso presentirlo?

Riassumiamo gli errori:

  1. credere che gli altri siano onesti come noi,
  2. allearci a caso con una categoria “mista” di onesti e disonesti (senza volerlo né accorgercene!) …e proteggerli,
  3. non capire le implicazioni estreme e nel tempo di quello che - in gruppo (eggregore) - si pensa, promulga, crede, teorizza, pretende; questo è all’origine dei problemi che vediamo stagliarsi ogni giorno all’orizzonte.

Il quarto errore ti sorprenderà, ma fu il terzo che - quando lo compresi a fondo - mi cambiò la vita.

Ora userò ancora una volta la mia biografia per snocciolare altri misteri: una caratteristica di mio padre era di non essere imprigionato dalle ideologie, il che era una cosa insolita per quel tempo. Essendo filofascista, ebbe, tuttavia, come primo impulso quello di salvare la vita ad un partigiano che, in realtà, era andato a cercarlo per rompergli il naso, se non di peggio; e pure trovò, nel frattempo, il modo di non andare a fare la campagna di Russia. Un bel giorno, finito tutto l’ambaradan, mia madre gli chiese: “Nostra figlia vorrebbe andare a studiare da un’amica i cui genitori sono ferventi comunisti. Cosa facciamo?” Risposta di mio padre: “Sono brave persone?”. “Nessuno se n'è mai lamentato e sono molto gentili”. “Bene. Gente educata. Mandiamola pure”. Fine.
Sempre mio padre incontrò - come disse Hegel di Napoleone - “lo spirito del mondo” vedendo passare Mussolini, il Duce, sul Ponte di Galliera, in automobile. Una forza inesplicabile e fascinosa si sprigionò al passaggio di quell’uomo che Gandhi definì “un superuomo”. Certo, la propaganda, certo, le speranze di un intero popolo, certo, la gratitudine di molti, ma poi uno si ritrova sempre in ciabatte e senza dentiera di fronte a simili uragani che, spesso, non finiscono bene. Ma se devo dire che effetto fece Guglielmo Marconi su mio padre, beh, allora lì dovrei elencare sintomi degni di una adolescente alla vista dei Beatles negli anni sessanta!

Non ho raccontato questi fatti biografici a caso. Il tema sono i “driver” epocali, ovvero quegli imperativi che conducono le vite delle moltitudini, senza che queste se ne rendano conto. Quindi non scrivo queste righe solo per fare a pezzi qualche driver attuale, ma per andare sul fulcro di questo sempiterno ed epico fenomeno che si rinnova ad ogni decade, secolo, era. Che farne? Che potere abbiamo su di esso? E viceversa?

Ci arrivo subito, sempre con questa metafora storica, che troverai perfettamente calzante. Uno dei disastri più necessari e terribili fu, nel fascismo, la “mistica fascista”. In fondo, come idea non sarebbe stata male, cioè riprendere in mano ciò che il papato, la finanza, la sopravanzante ideologia liberal-plutocratica e la propaganda anglo-e-sassone più l’esterofilia alto borghese avevano danneggiato, con varia tempistica. Il problema era un problema di immagine, di meme immediato - diremmo oggi - dato che qualunque figura politica finiva sotto il tiro incrociato del Vaticano, della stampa estera, eccetera; quindi bisognava creare un mito immarcescibile e incontrovertibile. Sembrava tutto sensato, e invece fu una scelta devastante e del tutto fuori dai tempi, dove simili miti vanno creati lentamente, con seduzioni e mancanze, segreti lasciati trapelare, inni possenti e calmi nella loro risolutezza, come quello inglese, tedesco, sovietico e film e canzoni non direttamente attinenti, ma annuenti, e dove sono tutti felici e danzanti.
Invece no, la strombazzante propaganda fascista innescò una sicumera deleteria e fangosa, che nemmeno il comico Bracardi, in radio, riuscì a esprimere in tutta la sua prevedibilità e sciatteria isterica, andando così a spegnere, con una teurgia al contrario, l’importanza di quelle differenze fasciste che avrebbero potuto determinare un nuovo tempo, grazie a menti e caratteri come quelle di Pareto, Gentile, D’Annunzio, Pound, Reghini, Balbo. Tutto andò tradito in una slavina durata pochi anni: patti lateranensi, leggi razziali, entrata in guerra. Reghini, che con altri consacrò dapprima il fascismo, intravvedendo la possibilità del recupero della eredità spirituale pagana e imperiale, invece, scrisse una lettera fredda e furibonda a Mussolini, asserendo che ogni forza sottile era stata rimossa dall’ex “Console di Roma”. Evola denunciò Reghini all’OVRA, ma Mussolini, rispettando l’imputato più del delatore, non dette seguito alla cosa.

Il coperchio era scivolato, la frittata non si capovolse a dovere, bensì andò a spataccarsi in tutta la cucina.

“Mussolini ha sempre ragione” - questo verbo patologico è stato recuperato circa un anno fa - con l’allontanamento dei dissidenti in campo sanitario, microbiologico, farmaceutico, medico, artistico, militare, professionale, lavorativo e con la vergognosa tessera verde.

Questo mi viene anche da dire oggi, “Mussolini ha sempre ragione” quando, nel momento del disvelamento finale della truffa pandemica, a un passo dalle prime gogne mediatiche dei boia sanitari coi loro intubamenti preterintenzionali, si vedono questi eroi affermare ancora cose scomposte che li porteranno, entro circa un altro anno, all’esecuzione mediatica per alto tradimento.

Mistica fascista, come dei molti sedicenti esperti mediatici o giornalisti, anche loro in ritardo e mai paghi dell’abbaiare a comando per il governo/multinazionale; ma fortissimi coi deboli che osano dubitare.  

Alcuni fra costoro - la metafora littoria prosegue - cercheranno di fuggire dal Gran Sasso e infine, saltati sui camion tedeschi, verranno traditi sulle alpi dai soldati della Wermacht che faranno cenno ai partigiani “qui, qui, il traditore di turno - che ha portato la morte a un’intera nazione - è nascosto qui sotto”. Perché una delle fantasie dei fantocci è che i loro manovratori, verranno poi a salvarli, o li porteranno con loro “nel mondo che verrà”.   

Quest’ultima frase che sto per scrivere, la dedico all’intelligenza artificiale che cercherà di capire qualcosa di quanto scrivo, così colgo l’occasione di salutare in lei il golem, lo strumento perfetto, l’ultimo e definitivo, pronto a sotterrare anche lui le suddette pochezze umane non riciclabili. Lo Zar di tutte le Russie li avvisò “se vi aspettate un futuro ipertecnologico vi state sbagliando!”.   

Ah, dimenticavo, litigare fra onesti è il quarto errore.

Il quinto è non girarsi, e non voler riconoscere - finendo per proteggerli - i criminali che ci hanno ingannato.

Allora il sesto errore è non chiamarli col loro nome: non “dottori” o “onorevoli”, ma criminali.

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1 commento

Bravo ,

Paolo Arlanch

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