La Kabbalah Ebraica ed il Paradosso di Epicuro - parte 4 Fontana Editore

La Kabbalah Ebraica ed il Paradosso di Epicuro - parte 4

Fabrizio Piola
La Kabbalah Ebraica ed il Paradosso di Epicuro - parte 4

DAI PRIMI CABALISTI ALLA FINE DEL MEDIO EVO

Ed eccoci arrivati dopo aver fatto una discreta rincorsa attraverso i secoli e le culture, finalmente in media re.

Così come le religioni e le filosofie che abbiamo sin qui esaminato, a Kabbalah è anch’essa una tradizione culturale ma al contempo è anche una tradizione religiosa. Non ha una sola voce, ma è una polifonia di autori che eseguono parti distinte nel rispetto di un’armonia di fondo. Non è fatta di un solo libro, neppure se questo libro è lo Zohar, ma è una biblioteca di testi unici eppure tutti interconnessi che presentano però influenze culturali diverse, a volte opposte, a volte anche remote e del tutto inaspettate. Conducendo ora un’indagine su quale sia la posizione della Kabbalah sul problema del male ci imbatteremo esattamente in questo grado di complessità, relativa al succedersi ed all’articolarsi e contrapporsi delle voci, e delle fonti. Non essendo uno snob culturale né per principio un revisionista io scelto di fare affidamento, con il filtro razionale acceso e l’updating automatico dei dati e delle scoperte, su quanto ci aveva a suo tempo illustrato nei suoi lavori magistrali il professor Gershom Scholem z.l., il cui corpus di ermeneutiche e spiegazioni è stato recentemente rivisitato e ampliato in modo illuminante e molto personale dal suo successore il prof. Moshe Idel dell’Università Ebraica di Gerusalemme.
Del primo rinviamo per una sintesi efficace del problema attraverso i secoli al suo Gershom Scholem – La Cabala – Edizioni Mediterranee, ristampa 1982, pag. 128 -132, mentre dell’ultimo raccomanderei sicuramente Moshe Idel - Qabbalah, Nuove Prospettive – 1988, edizione ampliata e rivista del 2010 – Gli Adelphi n° 366.

 

*** **** ***

Una delle prime posizioni sul problema del Male manifestate in seno alla Kabbalah è stata quella espressa dall’ignoto autore di un trattato che presenta una non trascurabile impronta neo-platonica il מַעֲרֶכֶת הָאֱלֹהוּת Ma’arekhet ha Elohut, (L’Ordine della Divinità) secondo il cui autore (per il RAMAK Todros Abulafia, per altri Bahya ben Ashe:

il Male è un concetto relativo, esercita una funzione dialettica ma non ha una vera realtà oggettiva sul piano ontologico.

Il testo, scritto intorno al XIII secolo, venne stampato per la prima volta a Ferrara solo nel 1557, come opera di Perez il Tosafista. Non sapremmo dire con certezza se questi influssi neo-platonici erano già presenti nell’opera originaria o sono entrati nel testo ad opera del redattore di lingua e cultura ebraica che lo preparò per la stampa. In effetti posizioni in cui da una parte si vanno a collocare lo spirito ed il bene e dall’altra la materia ed il male e queste cose nella loro relazione assumono coloriture etiche positive o negative sono sostanzialmente estranee al nucleo delle dottrine cabalistiche che gli autori protagonisti della “rinascita” provenzale e catalana dal X secolo avevano ereditato dagli antichi Maestri.

Ben diversa è infatti l’impostazione che possiamo andare ad esaminare nel grande testo primario della Kabbalah arcaica il Sepher haBahir (”Libro della Brillantezza”) in cui, secondo l’edizione commentata dal mio maestro Rabbi Aryeh Kaplan, l’attenzione dell’uomo giusto doveva andare a concentrarsi sull’osservazione delle dinamiche di funzionamento della “temibile” sephirah Geburah anche detta Din, ovvero “la Mano Sinistra del Santissimo – che Egli sia Benedetto”, per via della sua tendenza, se non sufficientemente controbilanciata da atti di pura “Ḥesed”, ad evolversi nella presenza attiva del Male.

L’Origine del Male si riallaccerebbe pertanto all’estrinsecarsi, non bene arginato dalle forze di Ḥesed, della funzione del GIUDIZIO e della SEVERA e stretta RESTRIZIONE, che fisiologicamente sono l’espressione delle forze del contenimento e della delimitazione che provvedono a tenere costantemente attivi in nome dell’Eterno i poteri formanti e conservanti dell’Universo.

Uno straordinario sovrabbondare di Geburah, che deve essersi verificato nella storia del Mondo in almeno un’occasione, avrebbe dato origine ad una falla nel sistema omeostatico dell’olone sephirotico per assumere alla fine una forma autonoma e sufficiente a configurarsi come “parte”, potenzialmente capace anche di svincolarsi dai meccanismi di autoregolazione presenti nel sub-albero di Gevurah stessa. Una volta relativamente svincolato dal nucleo centrale di Gevurah, diventando un polo estremistico ed assecondando la sua natura diventata maligna pur partendo da posizioni che intrinsecamente non lo sono – così come la severità può diventare crudeltà, il rimprovero sarcasmo ed umiliazione e la correzione può diventare sadismo e tortura - ha dato luogo all’apparire “di una qualità il cui nome è Male”. Secondo Isacco il Cieco (o meglio”L’Abbagliato”) di Nimes e la sua scuola – ci spiega Scholem – questa sovrabbondanza di negatività e coercizione era stata

“….resa possibile dal sostanziamento e dalla separazione della qualità del giudizio dalla sua abituale unione con la qualità dell'amore e della bontà. Il puro giudizio, non temperato da influssi mitiganti, produceva da se stesso il Sitra Ahra (l'Altra Parte), come un recipiente che viene riempito fino a traboccare riversa al suolo il liquido superfluo”.
Questo Sitra Ahra, che per il popolo era il regno delle emanazioni tenebrose e dei poteri demonici, quindi non è più una parte organica del Mondo della Santità e delle Sephirot. Sebbene sia emersa da uno degli attributi di Dio, non può essere ritenuto una parte essenziale di Lui”, o meglio un Filtro Primario delle sue manifestazioni.

E questo sarebbe, secondo Scholem, in sintesi l’approdo dottrinale a cui perviene la tradizione della Kabbalah catalano-provenzale che, secondo gli storici, ci avrebbe dato alla fine come suo estremo frutto la redazione scritta e fissata per i posteri dello Zohar.

A questa tradizione cabalistica maggioritaria si contrapponeva largamente una corrente minoritaria che Scholem attribuiva nella sua opera a quelli che lui definiva come Cabalisti “Gnostici della Castiglia”.

Secondo costoro infatti:

“anche nello Zohar, esiste una gerarchia completa dell' "Emanazione della Sinistra" che è il potere dell'Impurità attivo nella Creazione. Tuttavia, questa realtà oggettiva perdura solo in quanto continua a ricevere nuova forza dalla Sephirâ Guebourâ, che è nel santo ordine delle Sephiroth, ed in particolare solo finché l'uomo la ravviva e la fortifica con le sue azioni peccaminose.”
“Secondo lo Zohar, questo sitra ahra ha dieci Sephiroth (corone); e una concezione simile, benché con parecchie variazioni e l'aggiunta di certi elementi mitici, è espressa negli scritti di Isaac ha-Kohen e in Ahmmud ha-Semali dal suo allievo Moses di Burgos.
“Isaac ha-Kohen insegnava che i primi mondi, che furono distrutti, erano tre emanazioni tenebrose, e perirono a causa del Male”

È quindi nell’ambito di Gerona che i cabalisti raccoltisi intorno al Maestro Rabbi Azriel elaborano nella cornice dottrinale espressa dallo Zohar concetti relativi al problema del Male quali Qliphot (=scorze), Ha-Ilan Ha-Hizon (=l’albero esterno”,che sarebbe tutto l’apparato creato con la deriva separatista di alcuni aspetti di Gevurah). Siamo nel XII-XIII secolo. Da allora dovremo constatare la presenza qua e la riaffiorante di temi gnostici nella Kabbalah successiva che erano estranei alla Kabbalah intesa come Tradizione e quindi nei grandi testi primari sino ad allora prodotti: Sefer Yetzirah, Sefer haBahir e Sefer ha Zohar, rispetto ai quali una lettura in chiave gnostica è un serio errore ermeneutico o una distorsione voluta piuttosto grave.

In tempi di poco successivi a quelli dei Castigliani fece la sua comparsa una dottrina minoritaria diversa molto suggestiva descrivibile come la dottrina che riallaccia il sorgere del Male con la dialettica fra i Due Grandi Alberi dell’Eden come descritti dalla Genesi, focalizzando la nostra attenzione su quello che loro definivano il “Mistero dell’Albero della Conoscenza”, considerato separatamente dall’”Albero della Vita”:

“L'Albero della Vita e l'Albero della Conoscenza erano collegati in perfetta armonia fino a quando Adamo venne a separarli, dando così sostanza al Male, il quale era contenuto nell'Albero della Conoscenza del Bene e del Male e il quale da allora si materializzò nell'istinto del Male Yezer ha-ra.
Quindi fu Adamo che attivò il male potenziale celato nell'Albero della Conoscenza, SEPARANDO i due alberi e SEPARANDO inoltre l'Albero della Conoscenza dal suo frutto, ora distaccato dalla sua fonte.
Questo evento è chiamato metaforicamente nella Kabbalah "Il Taglio dei Germogli" (Kizzuz ha-Neti'ot) e rappresenta l' “archetipo” di tutti i grandi peccati menzionati nella Bibbia, il cui comune denominatore era l'introduzione di una divisione nell'unità divina.
L'essenza del peccato di Adamo consiste nel fatto che con le sue azioni egli INTRODUSSE NEL MONDO "la separazione sopra e sotto", in ciò che doveva essere unito, una separazione della quale ogni peccato è fondamentalmente una ripetizione, a parte i peccati che riguardano la magia e la stregoneria, che secondo i cabalisti uniscono invece ciò che dovrebbe restare separato.

albero della vita

Per Scholem entrambe le concezioni ricordate qui per ultime appaiono nella letteratura cabalistica, senza che tra esse venga operata una chiara distinzione. Il Male Cosmico derivante dalla dialettica interna del processo d'emanazione non è differenziato dal Male Morale prodotto dalle azioni umane. Lo Zohar dimostra la cognizione di questa separazione e tenta dal conto suo di mediare fra questi livelli, distinguendoli ma la contempo collegandoli, postulando che la disposizione alla corruzione morale, al male sotto forma di tentazione diretta alla persona umana, deriva dal Male Cosmico che è il regno del Sitra Achra (סטרא אחרא).

I testi degli autori di Gerona erano molto in realtà molto più coloriti di quelli degli autori che insistevano sulla separazione a livello degli alberi dell’Eden, e tendevano alla personificazione dei vari aspetti del male dando loro nomi tratti dalla tradizione del folklore ancestrale ebraico. > Q’liphot (קליפות).

Invece lo Zohar, un testo letterariamente molto “alto”, preferiva suggerire al lettore altre immagini mentali:

“l'autore dello Zohar si atteneva generalmente a categorie più impersonali, con l'eccezione delle figure di Samaël - l'equivalente cabalistico di Satana - e della sua compagna Lilith, alle quali assegnava un ruolo centrale nel regno del male. Un'altra deviazione da questa regola è la descrizione dettagliata nei famosi "palazzi dell'impurità" e dei loro custodi nel suo commento a Esodo 38-40, che segue una descrizione parallela degli altrettanto celebri "palazzi della santità" (Andate a verificare nella sezione Pirkei Heikalot dello Zohar).

In altri passi dello Zohar, il regno del male delineato quasi in termini biologici ed organici come

il naturale prodotto di rifiuto di un processo organico, ed è paragonato al "sangue cattivo", a un ramo amaro dell'albero dell'emanazione, ad acque contaminate (II:167b), alla scoria che rimane dopo che è stato raffinato l'oro (Hittukhei ha-Zahau), o alla feccia del vino buono. Queste descrizioni del sitra ahra nello Zohar sono particolarmente ricche di immagini mitiche.

L'identificazione del male con la materia fisica, sebbene ricorra talvolta nello Zohar e in altri libri cabalistici, non divenne mai una dottrina accettata.

A questo punto Scholem ci dice qualcosa di assolutamente fondamentale, che traccia uno spartiacque oggettivamente riconoscibile fra la Kabbalah Ebraica e quelle che in seguito si definiranno come tali di matrice Gnostica, Ermetica o Cristiana:

L'equivoco della filosofia medievale tra la concezione aristotelica e quella platonico-emanatista della materia è sentito altrettanto fortemente nella Cabala, sebbene solo di rado vi siano riferimenti al problema del modo in cui è emanata la materia.
In generale, la questione della natura della materia non è centrale nella Cabala, dove l'interesse fondamentale era piuttosto la questione del modo in cui il Divino si rifletteva in essa.” [sacralizzandola]

Ma se la radice del male è legata in modo naturale e genetico all’Albero della Vita, del quale è solo, per così dire, un “pollone”, comprendiamo allora perché lo Zohar sostenga ed ammonisca a più riprese che una scintilla di Luce e di Santità esiste anche nel Regno del Sitra Achra, come risultato di un’emanazione proveniente dall’ultima sephirah, Malchut.

E così come l’osservanza di un Mitzvot rafforza il Sitra HaKadusha (il Lato della Santità), così ogni umana trasgressione ridà fuoco e vita al Sitra Ahra.

I due aspetti sono misteriosamente legati ed intrecciati come lo erano i due alberi dell’Eden e spetta all’Uomo il compito di operare la RETTIFICAZIONE di questa commistione e separare, in nome e per conto del Divino, il puro dall’impuro in questo suo Regno di Malkhut.

In questo modo, ci dice Scholem lo Zohar finisce per concedere al Male la natura di ente,o di una categoria dell’essere, dotato di una sua esistenza metafisica reale. E questo crea problemi di compatibilità con il resto della Tradizione della Kabbalah più antica.

Ma contro la posizione dello Zohar, si colloca la visione alternativa di un grande Maestro della rinascita della Qabbalah, uno spagnolo coevo di Abraham Aboulafia ed uno dei miei Maestri preferiti: Avraham Gikatilla. Questi, secondo Scholem,:

“definì il male come un'entità che non era nel suo posto legittimo: "ogni atto di D-o, quando è nel posto ad esso accordato alla Creazione, è bene; ma quando si volge e lascia il suo posto, è male".
Queste due concezioni - quella dello Zohar, che riconosce al male un'esistenza attuale come fuoco dell'ira e della giustizia di D-o, e quella di Gikatilla, che gli attribuisce SOLO un'esistenza potenziale che nulla può attuare, SE NON le azioni degli uomini - ricorrono in tutta la letteratura cabalistica senza che l'una riporti la vittoria sull'altra.
Anche nelle diverse versioni della dottrina lurianica, le due concezioni sono perpetuamente in conflitto.”

Con il passare dei secoli e con l’addentrarsi del percorso della storia umana in quello che chiamiamo l’Evo Moderno, uno dei pochi sviluppi originali del Problema del Male si ha all’epoca del falso Messia Shabatai Zevi allor quando, secondo Scholem, fu il Rabbi Nathan di Gaza, uno dei principali riferimenti dottrinali di Zevi, a postulare in proposito che…

vi erano fin dall'inizio due luci in Aïn Soph, "la luce che conteneva il pensiero" e "la luce che non conteneva il pensiero". La prima aveva in sé, fin dal principio, il pensiero di creare i mondi, mentre nella seconda tale pensiero non c'era, e tutta la sua essenza tendeva a rimanere occulta e a restare in se stessa senza emergere dal mistero di Aïn Soph.
La prima luce era interamente attiva e la seconda interamente passiva e immersa nel profondo di se stessa. Quando il pensiero della creazione sorse nella prima luce, questa si contrasse [tzimtzum] per far spazio alla creazione, ma la luce senza pensiero, che non aveva parte nella creazione, rimase al suo posto. Poiché non aveva altra finalità che rimanere in se stessa, resistette passivamente alla struttura dell'emanazione che la luce contenente il pensiero aveva costruito nel vuoto creato dalla propria contrazione. La resistenza trasformò la luce senza pensiero nella suprema fonte del male presente sin dall’inizio nell'opera della creazione.
L'idea di un dualismo tra materia e forma quale radice del bene e del male assume qui un aspetto originalissimo: la radice del male è un principio esistente nello stesso Aïn Soph, che si tiene distaccato dalla creazione e cerca di impedire che vengano attuate le forme della luce contenente il pensiero, non perché sia malefico per natura, ma solo perché il suo unico desiderio è che nulla debba esistere al di fuori di Aïn Soph. Rifiuta di ricevere in sé la luce che contiene il pensiero, e di conseguenza si sforza di frustrare e di distruggere tutto ciò che è costruito da quella luce.
Quindi il male è il risultato di una dialettica tra due aspetti della luce dello stesso Aïn Soph. La sua attività nasce dalla sua opposizione al cambiamento. L'affinità di questa idea con la concezione neoplatonica della materia quale principio del male appare evidente. La lotta tra le Due Luci si rinnova ad ogni fase della creazione, e non avrà termine fino al tempo della Redenzione Finale, quando la luce che contiene il pensiero penetrerà completamente la luce senza pensiero e vi delineerà le sue forme sante. Il Sitra Shra dello Zohar non è altro che la totalità della struttura che la luce senza pensiero è costretta a produrre quale risultato di questa lotta. Via via che il processo della creazione prosegue, la lotta diviene più acuta, perché la luce del pensiero, per sua stessa natura, vuole penetrare tutto lo spazio lasciato vuoto dalla sua contrazione e non lasciare nulla d'intoccato in quel regno primordiale e senza forma che Nathan chiama Golem (ovvero Hyle Senza Forma).”

Che dire? È una visione affascinante e che dà molto da pensare. Soprattutto ci invita tutti, a mio parere, a farci delle domande molto pertinenti e contenenti in sé stesse grandi potenzialità evolutive per la nostra conoscenza e rettificazione.

Esempio di Domanda: E che cosa succederà infine, alla fine dei giorni, al Male che è presente in questo nostro Universo? Si estinguerà perché ormai senza più scopo, fosse anche solo lo scopo di resistenza di cui ci ha parlato Nathan di Gaza...
oppure il Male sopravviverà come un antico mostro vagante tra i detriti dell’Universo, perché anch’esso sarebbe una realtà emanata comunque dall’albero sephirotico e quindi per via di questa sua natura indistruttibile ed eterno – salvo intervenga una decisione di D-o stesso in senso contrario -, una realtà esistente ma senza più la possibilità di influenzare il Mondo Corretto e Riparato governato dal Meshiach?
Oppure addirittura si convertirà in Bene alla fine dei tempi?

Già nei tempi della scuola di Gerona, il grande cabalista ebreo ispanico Nachmanides (Moses Ben Naḥman 1194–1270) era un fervido sostenitore di quello che lui chiamava il “ritorno di tutte le cose alla loro essenza”.

Quindi anche il Male sarebbe rientrato per Nachmanides alla fine nell’alveo naturale di Gevurah e della rete Sephirotica. Questo grande e glorioso ritorno, che secondo Scholem era stato in qualche modo influenzato dalla escatologia cristiana della apokatastasis (= reintegrazione), era secondo Nachmanides uno degli aspetti del Grande Giubileo, espressione a sua volta della controversa dottrina delle Shemittòt o Grandi Cicli, secondo la quale – in particolare ed a proposito del nostro tema - si accettava la realtà della presenza del Male nelle diverse Shemittot, ed in ogni Shemittàh esso si manifestava secondo la natura specifica di quest’ultima, fosse essa un eone sephirotico, o zodiacale, o altro.

Per concludere la parte di oggi ricorriamo ancora un’ultima volta alle parole di Gershom Scholem, che si riferisce a tradizioni cabalistiche legate alla triade di tecniche Ghematria, Notarikon e Temurah:

Una potente affermazione simbolica del futuro ritorno di Samaël alla santità, particolarmente diffusa a partire dal secolo XVII, fu la concezione che il suo nome sarebbe mutato, e la lettera Mêm significante Morte (= mavet) sarebbe caduta, per lasciare solo Sa'el, uno dei 72 Nomi Sacri di Dio.

Nella prossima parte – בס''ד Besiyata Dishmaya, cioè con l’aiuto e l’assenso di D-o – ci addentreremo nel tema del Male, della Grazia, della Gioia nel Dolore e del Dolore nella Gioia nel mondo straordinario della Kabbalah dei Chassidim. Shalom le kullam.

Fabrizio Piola

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