Il Bardo: viaggio ai confini della vita e della materia
Il Bardo è un concetto fondamentale nelle tradizioni spirituali del Tibet, in particolare nel Buddismo Vajrayana. Il termine, che significa “transizione”, si riferisce agli stati intermedi tra la morte e la rinascita, un fenomeno descritto in maniera approfondita nel Bardo Thodol, il Libro tibetano dei morti.
La prima di queste fasi, il Chikhai Bardo, è il momento immediatamente successivo alla morte, in cui si manifesta la “Chiara Luce”. Qui l’individuo, se adeguatamente preparato, ha la possibilità di comprendere la natura ultima della realtà, ottenendo la liberazione completa dal Samsara. Il Chönyid Bardo è lo stato successivo in cui appaiono visioni simboliche e archetipiche, spesso sotto forma di divinità pacifiche o irate. Si tratta di manifestazioni delle emozioni profonde e degli attaccamenti dell’individuo che scompaiono solo nel Sidpa Bardo, il passaggio finale in cui la coscienza s’incarna in un’altra forma fisica. È in questo stadio che si attivano le tendenze karmiche accumulate nel corso della vita, determinando la rinascita in uno dei sei regni dell’esistenza.
Coloro che non conoscono bene il Buddismo si chiederanno certamente come si concilia tutto ciò col concetto di anatman, uno dei principi fondamentali di questa religione. Se non esiste nell’uomo alcuna essenza permanente, come l’anima, allora cos’è che trasmigra da un corpo a un altro? La teoria dell’anatman sembra in contraddizione con l’idea della reincarnazione, ma in realtà è perfettamente coerente con essa. Il Buddismo, infatti, vede l’esistenza come un flusso continuo di processi mentali e fisici condizionati, in cui il karma svolge un ruolo di collegamento. La coscienza che attraversa il Bardo e si reincarna non è un’entità fissa e personale, ma piuttosto un flusso d’esperienza impersonale, che non si esaurisce subito dopo la morte.
Ciò vuol dire che la mente può esistere senza la materia? Non esattamente, capiremo meglio il perché andando avanti nell’articolo.
Oggi siamo abituati a pensare alla coscienza come un fenomeno che dipende esclusivamente dall’attività elettrochimica del cervello. Dal punto di vista delle scienze tradizionali il Bardo e la reincarnazione sono solo superstizioni, storie create dall’uomo per superare la paura del nulla che accompagna la fine dell’esistenza. Con la morte cerebrale, dicono gli scienziati, finisce ogni tipo di attività psichica perché vengono meno le condizioni che la rendono possibile. Tuttavia ancora non è chiaro cosa sia esattamente la coscienza o come emerga dal sostrato neurale; inoltre i fenomeni psichici che accompagnano gli ultimi istanti di vita rimangono un mistero su cui molti studiosi continuano a interrogarsi. Simili incertezze lasciano spazio a teorie e speculazioni sulla natura di questi eventi, e fanno pensare che forse le storie sull’al di là non sono tutte sciocchezze.
Un fenomeno di cui si fa un gran parlare è rappresentato dalle cosiddette esperienze di pre-morte (NDE). Alcune persone che si sono risvegliate dal coma o sono sopravvissute a gravi incidenti, riferiscono di aver vissuto momenti in cui erano “separate” dal proprio corpo e attratte verso una luce abbagliante. Questi eventi vengono spiegati solitamente come il risultato di processi fisiologici tipici del cervello morente, quali la mancanza di ossigeno, il rilascio di sostanze chimiche particolari o il progressivo ridursi dell’attività neurale. Tuttavia certi ricercatori sostengono che le NDE potrebbero suggerire una realtà diversa: questi vissuti, infatti, assomigliano molto a ciò che si sperimenta negli stati più profondi della meditazione, quando la mente è distaccata dagli stimoli esterni e totalmente assorbita in sé stessa. Ciò porta a pensare che non siano dovuti a processi specifici del trapasso, ma ad aspetti ancora poco chiari del funzionamento mentale. La coscienza, dicono gli studiosi, potrebbe essere meno dipendente di quel che pensiamo dal corpo o comunque avere con esso un rapporto differente rispetto a quello che abbiamo finora immaginato.
Le ricerche condotte da Ian Stevenson e Jim Tucker dell’Università della Virginia, hanno seguito questa linea di pensiero ipotizzando che la coscienza o almeno una parte di essa possa sopravvivere alla morte. I due scienziati hanno raccolto testimonianze di bambini che affermavano di ricordare vite precedenti e, in alcuni casi, fornivano dettagli straordinariamente corrispondenti a eventi o persone reali. Secondo i critici però tutto questo suggerisce soltanto la presenza di informazioni apprese inconsciamente, l’effetto della suggestione oppure coincidenze assolutamente uniche. Del resto come ci insegna la psicologia, il ricordo di eventi e vissuti è spesso influenzato dall’emozione e dalla fantasie e in ogni caso non è una copia fedele della realtà. Seppur in buona fede, quindi, questi bimbi potrebbero non essere i testimoni più attendibili del fenomeno della reincarnazione.
Un campo più promettente, invece, è quello della fisica. Oggi gli scienziati, stanno valutando la possibilità che la coscienza possa essere una proprietà fondamentale dell’universo, non legata esclusivamente al cervello. Secondo il Fisico Roger Penrose, il fenomeno potrebbe avere addirittura una base quantistica: in altre parole è possibile che una proto coscienza possa esser presente in tutte le cose, comprese quelle inanimate. Questo non vuol dire che le pietre pensino o siano autocoscienti, ma che negli elementi costitutivi della materia potrebbero esserci le condizioni per una forma primitiva d’esperienza.
La teoria che sostiene questo punto di vista, detta Panpsichismo, afferma che la coscienza è una proprietà che non emerge esclusivamente da configurazioni complesse di materia (come il cervello), ma è una caratteristica presente ovunque in natura. Gli atomi e le particelle fondamentali potrebbero addirittura avere una scintilla di consapevolezza che noi, abituati alle nostre modalità sensoriali, non riusciamo a comprendere e riconoscere. In altre parole, a livello microscopico potrebbero esserci le basi per l’esperienza soggettiva, un fatto che almeno per gli organismi viventi più semplici appare oggi sempre più probabile. La coscienza umana potrebbe essere il risultato della somma di queste micro-esperienze e quindi dopo la dissoluzione del suo supporto organico potrebbe continuare a esistere in una forma più sottile, distribuita o parziale. Si tratta di un’ipotesi interessante, capace di spiegare gli stati del Bardo e le esperienze al limite della morte.
In generale il Panpsichismo afferma che la coscienza è l’elemento che ci unisce a tutto il resto della realtà, la trama stessa dell’universo. Sfortunatamente ad oggi non è possibile verificare questa ipotesi, mentre è più alla portata di mano l’applicazione della meccanica quantistica allo studio del cervello, un nuovo campo di ricerca che ha il potenziale per rinnovare completamente la nostra concezione della psiche. Come ha sostenuto il fisico Fred Alan Wolf, infatti, la scienza moderna, nel tentativo di spiegare i misteri della materia, sta aprendo sempre più una finestra sulla realtà immateriale dello spirito, avvicinandosi alle antiche tradizioni dell’oriente.
In conclusione non possiamo dire cosa ci attenda dopo la morte, né sappiamo esattamente da dove venga e come funzioni la coscienza. Il futuro probabilmente ci darà delle risposte sorprendenti e inaspettate a questi interrogativi, ma per il momento possiamo solo continuare a farci domande, mantenendo una mente aperta e flessibile.