La Kabbalah Ebraica ed il Paradosso di Epicuro - parte 2 Fontana Editore

La Kabbalah Ebraica ed il Paradosso di Epicuro - parte 2

Le solite risposte ed il paradosso del Giusto Sofferente: Oggi riprendiamo, dopo la prima parte pubblicata la settimana scorsa, questo viaggio in cui esploriamo insieme l’eterno problema “Che cos’è il Male, da dove viene, perché esiste”.

Una settimana fa abbiamo fatto una ricognizione “a drone” sorvolando per così dire il dibattito tramandatoci dagli archivi della storia della filosofia per finire anticipando qual è, in sintesi e punto di partenza, la visione della Kabbalah ebraica, che, come vedremo, produce poi una serie di proposte etiche ed operative. Questo è possibile perché la Kabbalah non è un catechismo ma una Tradizione, che è fatta di molte teste e di molte idee, anche più di un’idea per testa, che sono unite da una matrice comune.

Oggi passeremo in rassegna, suddivise per gruppi omogenei, le principali soluzioni proposte dai filosofi più influenti e dalle religioni più diffuse. Per ciascuna vedremo perché alla luce della Kabbalah queste soluzioni siano insoddisfacenti. Non pretendiamo assolutamente che la Kabbalah sia il parametro universale di ciò che va bene ed è da tramandare e di ciò che invece può essere buttato. È un fatto oggettivo che il problema dell’Unde Malum è tutt’oggi ancora lì, inquietante, corrosivo delle nostre apparenti soluzioni, e – inutile nasconderlo – argomento principale di un pensiero che più che ateo, preferirei descrivere come scoraggiato negazionismo della possibilità dell’esistenza di un D-o e di una via di risoluzione della nostra difficile condizione umana.

Punto primo: il problema del male è da sempre la sfida fondamentale da affrontare per tutte le religioni. È il benchmark del loro successo e diffusione a macchia d’olio oppure lo scoglio contro cui prima o poi si sfasciano ed affondano, il tarlo irrisolto che nel tempo si fa sempre strada nella tela di una dottrina, la rende via via più logora fino a farla diventare impalpabile, ed è allora che quella religione avvizzisce e muore, anche se come religione-zombie nelle apparenze continua il suo tran-tran salvifico di sempre…

La presenza nel mondo del Dolore e della Sofferenza – concetti che in termini mitologici, teologici e filosofici sono da sempre manifestazioni associate al Male – è con ogni probabilità una delle ragioni fondamentali dello stesso sorgere delle religioni. La Religione è quella dottrina, che in qualche modo i viene presentata come di origine divina, che ci spiega innanzi tutto il perché del male, che lo inquadra nel senso generale della Vita e che ci consola e ci sostiene quando ne siamo inevitabilmente vittima. Il Male, forse, può essere addirittura il fenomeno che ha indotto lo stesso pensiero autocosciente e riflessivo dell’Uomo. Il risveglio del Buddha è l’esempio forse più celebre di una rivoluzione copernicana del pensiero causata dall’incontro sconvolgente dell’allora Siddharta con il Male e con il Dolore.

Per ritornare ora nell’ambito dell’ebraismo e del cabalismo, Franz Rosenzweig, il grande filosofo ebraico del secolo scorso, ha affermato che a suo giudizio la filosofia stessa nasce infatti dalla realtà della morte e della paura radicale che essa incute ai vivi. Se l’ebraismo di per sé come sappiamo, non in effetti ha detto molto di originale sul tema del Male, la Kabbalah invece, è stata influenzata nella sua rinascita definibile come “adolescenza” ispanico-provenzale, da riflessioni originate dal confronto con il neo-platonismo, l’aristotelismo, ma anche da tradizioni meno formalizzate quali il pensiero ermetico e misterico, filtrate attraverso la raffinata ed allora ben più evoluta filosofia sufica espressasi prodigiosamente in seno all’Islam, e questa esposizione ha fatto del tema del Male un filone ideologico portante, indissolubilmente intrecciato con la sua stessa Teosofia, la sua Teodicea e la sua Cosmogonia. La Kabbalah è finalizzata alla Rettificazione dell’Uomo e del Mondo, al recupero della Luce che fu dispersa, Luce qui soffocata, incrostata com’è dalle Q’liphot, che sono il guscio, la scoria, le forme imprigionanti del Male e dell’esilio doloroso che ci separa dalla sintesi di ogni cosa nell’Uno.

E queste sono davvero le grandi domande. Più diventi con l’età consapevole che la tua vita non durerà per sempre e sempre di più nessuno può fare a meno di chiedersi: che cosa è davvero importante, e cosa non lo è? Qual è il senso ultimo dell’esperienza della vita? Perché dobbiamo soffrire, perdere tutto ciò che amiamo, ed alla fine, morire?

Filosofi, Profeti, Religioni, Guru, ci hanno dato molte risposte e meritano tutte un esame ed una critica. Ricordiamo che, per scelta di chi scrive, qui esaminiamo solo le risposte elaborate dalla tradizione culturale Euro-Mediterranea e del Vicino Oriente. Procediamo.

LA RISPOSTA DI TIPO A.
È quella classica, tipica e consolidata della porzione del mondo che abbiamo indicato appena ora, in cui per altro è confluito molto del sapere elaborato dalle grandi civiltà classiche del mondo antico: Egitto, Grecia e Roma. Questa risposta recita in sintesi:

“Sì, c’è sicuramente un significato intrinseco proprio dell’Universo; e sì, l’Uomo ha la possibilità di relazionarsi con questo significato ed alla fine di avervi accesso”.

Questa rassicurante affermazione alla fine si dimostrerà troppo astratta e non si rifletterà mai adeguatamente nell’esperienza dalla maggioranza assoluta delle persone, che non hanno scelto di occuparsi di metafisica e di vie iniziatiche verso la conoscenza e la consapevolezza del Sé, e questo perché troppo strettamente legati alla ruota perenne del vivere, produrre, consumare, morire. E infatti in tutti noi comunque, al di là delle rassicurazioni delle religioni rivelate e di molte forme di spiritualità empirica, resta il boccone amaro in gola, quello che non va mai veramente giù:

“Se davvero è così, e l’Universo ha un senso, perché allora la vita umana è un’esperienza completamente attraversata - dalla culla alla fossa - dalla presenza del dolore e della sofferenza?”

Se poi ci capita anche di essere un “iscritto” al club dei fedeli delle religioni rivelate, allora quella domanda striderà ancora di più rispetto all’immagine di quella Divinità Onnipotente da cui promana ogni Amore e benedizione che onoriamo con dedizione e speranza. Questo stridore produrrà inevitabilmente quella che chiameremo l’Osservazione Primaria Fondamentale:

“Perché se c’è un D-o che è tanto Onnipotente quanto la fonte primaria dell’Amore e di ogni Bene, allora questo D-o consente poi che persone INNOCENTI soffrano o addirittura soccombano per l’effetto della presenza e dell’azione del Male nel Mondo?”.

Questa osservazione induce le religioni ed affini alla formulazione della replica/risposta di Tipo B.

 

LA RISPOSTA / REPLICA DI TIPO B.

La controreplica classica dei detentori delle verità rivelate è piuttosto tranciante:

“Il Male è la punizione che D-o consente si manifesti e si abbatta sull’Uomo come conseguenza e retribuzione della sua disobbedienza alle leggi divine”.

OK. La Torah, per fare un esempio per me scottante, è in più di un passo tassativa e cruda fino all’estremo: colui che non rispetta il decalogo – cioè non onora il suo lato del contratto esistente tra YHVH ed il Suo Popolo – verrà colpito da D-o con una pioggia di eventi di malasorte retributiva, oppure D-o semplicemente lascerà che ogni sventura dell’Universo lo colpisca senza fare alcunché per impedirlo o per mitigarla. Classica è l’enumerazione delle conseguenze tipiche: "la tua lingua si attaccherà al tuo palato, i tuoi raccolti si avvizziranno e periranno, il tuo bestiame sarà sterile e così tua moglie e soffrirai infine dolorose perdite nella tua famiglia, ed alla fine la tua stessa vita finirà per lasciarti, ma solo dopo una lunga serie di miserie, tormenti e lutti." È un avvertimento molto chiaro. Ma …quando il Male sembra colpire un INNOCENTE?....

 

LA VARIANTE ALLA RISPOSTA B.

Ma, ricordando la non rara eventualità del Male che sembra colpire arbitrariamente o casualmente uno o più soggetti innocenti, trasformandoli nel paradosso del Giusto sofferente, allora ci viene ricordato che la Torah precisa molto spesso che il Signore nel suo amore è geloso e possessivo verso il Suo Popolo. Questo amore infinito nella sua profondità quanto nella sua possessività (per gli addetti ai lavori cabalistici parliamo qui degli eventi e delle volontà che hanno luogo a livello del Partzuf divino noto come Zeir Anpin) porta il Divino ad irrogare il suo castigo in via generale tanto nello spazio (ex: su tutti i Figli di Israele a causa delle colpe di pochi, su tutti gli abitanti di Sodoma e Gomorra, inizialmente a dispetto del fatto che anche lì vivono pochi Giusti accanto ad una maggioranza di mascalzoni e dissoluti, oppure anche sull’intera umanità e su tutto quanto viva sulla terra in quel momento, come nel caso del Diluvio Universale) quanto attraverso il tempo (ex. Le colpe dei padri ricadono sui figli e così via per un numero variabile di generazioni).

Piaccia o meno, e sia tutto questo più o meno o per nulla comprensibile dal nostro punto di osservazione, secondo le letture tradizionali questo è il metodo e la regola che D-o ha voluto ed imposto al Mondo che ha creato, una regola della cui esistenza ci ha avvisati in debito anticipo e ci ha anche dato in seguito nel corso della storia anche illustri esempi dissuasivi. Tanto ci dovrebbe bastare per scegliere l’obbedienza alla Legge e la fedeltà al Patto. Quest’ordine di idee che sembra precludere alla possibilità di una replica ulteriore è ormai vecchio di svariati secoli, per non dire millenni. Ovviamente però le repliche ci sono state lo stesso, in un simile arco di tempo. I Filosofi per esempio hanno il problema congenito, per la loro stessa natura di ricercatori e di formulatori di domande, che per un vero filosofo una certa soluzione non sarà mai convincente, se non soddisfa fino in fondo la Ragione ed il suo bisogno di sentire che essa è conforme alla Verità che è umanamente attingibile.

Se volessimo solo gettare uno sguardo al secolo scorso si sono verificati scenari reali dove il Male ha talmente dominato ogni dimensione del vivere da oscurare qualsiasi possibile luce per farci dubitare con Nietzsche se per caso D-o non fosse morto. Il XXI secolo è iniziato con il Crollo delle Torri Gemelle e con tutte le devastazioni e atrocità che ne sono seguite e che si susseguono tutt’oggi. Se in Rwanda i machete che tranciavano arti e teste erano impugnati da altri esseri umani, Tsunami e Terremoti sono quelli che in inglese si definiscono “Acts of G-d”, in cui puntualmente le conseguenze sono inasprite da quanto l’uomo aveva creato nelle zone colpite sfidando la Natura per avidità di profitto e di potere.

L’apparente trionfo del Male ci porta a dubitare. E se D-o fosse morto? Anzi, se D-o non fosse mai esistito? Eppure il XIX secolo un suggerimento prudente ce l’aveva dato quando Dostoevskij, per bocca di Raskol’nikov ci fa osservare:

“Se D-o non esiste, tutto è permesso”.

Beh, nessuno di noi vorrebbe sinceramente vivere un solo minuto in un mondo così. C’è chi lo ha provato un mondo così: la Shoah, i Killing Fields della Cambogia, le fosse comuni di Srebrenica. È solo qualche esempio. Gli ottimisti hanno allora prodotto le risposte di Tipo C.

 

LA RISPOSTA RAFFINATA, QUELLA DI TIPO C. TRANQUILLI, C’È UN PIANO”.

Si può per esempio dire che il Male in realtà non esiste, se lo si considera in una visione veramente olistica, cioè in quella che molti chiamano semplicemente “the big picture”,cioè in una Visione d’Insieme e Teleologica di vasta portata spazio-temporale che ricomprenda in sé e riconduca ad un senso razionale e comprensibile i casi specifici apparentemente aporetici che riteniamo eticamente ed emotivamente inaccettabili al livello “terreno” ed esperienziale di osservazione.

Per esempio un tizio perde improvvisamente un lavoro che amava fare come fosse la sua ragione di vita, resta senza mezzi per qualche tempo, ma poi troverà un lavoro migliore e più realizzante e magari meglio retribuito. E questo lavoro non lo avrebbe mai trovato senza il licenziamento (male apparente e temporaneo) perché non avrebbe mai avuto il coraggio di dimettersi. Oppure per motivi burocratici e varie circostanze imprevedibili una tizia perde il volo urgente che appariva un’esigenza indispensabile, crede di aver perso l’occasione della vita, salvo poi scoprire che quell’aereo ha avuto un problema serio. O magari che è precipitato. Chi racconta aneddoti simili conclude invariabilmente:

"D-o ha un Piano per il Mondo e per ciascuno di noi”

 

OPPURE (RISPOSTA DI TIPO C, ALTERNATIVA)

“D-o opera per vie misteriose” ovvero “I fini di D-o sono inconoscibili, la sua Volontà imperscrutabile”.

Segue il corollario: “Beh, D-o ha sempre un Piano. Anche su quello che oggi ti ha devastato. Resta fermo nella tua Fede. Non è dato all’Uomo comprendere i Disegni di D-o.  Solo che qualcuno in ogni tempo e luogo ha conservato e conserva un sano e legittimo dubbio essenziale, riassumibile così: "ma perché Qualcuno che dice di amarci prima ci colpisce e ci stende rasi al suolo in modo improvviso, inatteso ed incomprensibile, non si spiega, non ammette domande, fa il misterioso, e tuttavia pretende però che lo capiamo, o che comunque manteniamo la fede in Lui, e che Lo ricambiamo con infinita devozione e filiale amore?"
Il modello di mondo e di relazione Creatore-Uomo che emerge dalla risposta di tipo C, nelle sue varie declinazioni, risulta francamente irritante perché presuppone l’inutilità della Ragione, di cui invece, secondo la Kabbalah e non solo la Kabbalah, HaShem ci ha fornito con dovizia. E se l’ha fatto ciò significa che la Ragione in questo mondo ha presumibilmente un qualche impiego essenziale da assolvere.

Nell’ebraismo stesso lo shock dell’Olocausto è rimasto per molti una ferita aperta, uno scandalo per la ragione, un vicolo cieco dalle stessa fede. Qualcuno di noi ha provato a inserire il pensiero provvidenziale del Piano, realizzando che forse la Shoah ha dato una spinta finale determinante a quel processo storico e di autocoscienza che dalla seconda metà dell’800 ha portato gli ebrei al ritorno nelle terre dei padri, laddove si sono riuniti ai fratelli che sono sempre rimasti lì tra mille tribolazioni ed umiliazioni. Il riscatto per tutti quanti è stato il sorgere – vincitore tra le macerie di una guerra omicida che l’ha assalito alla nascita - dello Stato di Israele. Alcuni di noi invece , al contrario, quando celebrano Pessach, la Pasqua israelita, e leggono nel corso della liturgia della Cena le famose Quattro Domande dei Quattro Figli che iniziano tutte con ”Mah” (perché, ne aggiungono una quinta, relativa alla Shoah che semplicemente consta di un “Mah?”, un perché doloroso come un buco nero che attende ancora una risposta.

 

VARIANTE D. L’IMPUDENZA DI EPICURO.

E qualcuno magari alla fine concluderà che è inevitabile concordare con quella linea di pensiero formulata per primo da Epicuro, e che lo ha reso nei secoli una vera bandiera dell’ateismo militante, quando con lieve sarcasmo il filosofo greco sillogizzò:

“E’ in D-o la volontà di impedire il Male ma non riesce a farlo? Allora non è Onnipotente. Ne è capace ma non vuole? Allora Egli è Malevolo. E se vuole impedire il male e ne è capace, da dove viene tutto il Male di cui facciamo ogni giorno esperienza? E se non vuole e non è capace, perché allora continuiamo a chiamarlo D-o”?

Dal punto di vista della Kabbalah questa impostazione mentale è difettosa nel manico perché pone sullo stesso piano ontologico D-o e gli elementi della realtà che egli ha creato e poi tira delle conclusioni che partono da questo fraintendimento di base di cosa sia la realtà, che invece per la Kabbalah è mirabilmente articolata nei Suoi molteplici piani (i cinque Mondi, le 10+1 Sephirot). Il punto cioè è che si tratta di due petizioni di principio. In questo contesto e limitatamente a questo punto la Kabbalah appare come fondata sul Postulato dell’esistenza di HaShem, ha Yotzer (il Creatore, Colui che dà Forma). Ed Epicuro si fonda su quello della sua Inesistenza. Non si tratta dunque di due impianti di pensiero LOGICI in modo ASSOLUTO, ma solo coerenti con il Postulato originativo. Il fatto certo, empirico, è che quando si fa la personale e diretta esperienza del Male … beh, ecco, a noi sembrerà esattamente quello che ci sembra che sia: un Male. E se qualcuno venisse a dirci che in realtà stiamo facendo l’esperienza di un bene perché c’è un piano, questa ci sembrerà nel migliore dei casi una provocazione intellettualistica, non rispettosa della nostra sofferenza presente e reale. Potrebbe essere vissuta come una considerazione che manda in corto circuito il nostro senso di frustrazione ed impotenza davanti all’essere divenuti vittima del Male. È un pensiero che può intralciare i nostri necessari processi di elaborazione del lutto e del dolore. In qualche modo il pensiero di un possibile “piano di D-o” può anestetizzare ed ottundere quelle emozioni e quelle esperienze che stiamo vivendo. Per costoro il Piano è una consolazione patetica e stucchevole che non soddisfa la Psiche e frustra la Mente. La posizione razionalista di Epicuro è una posizione limitata ed alla fine insufficiente a risolvere il problema, dato che si ferma all’aporia soddisfatta di averla messa in luce. Paradossalmente questa è una posizione molto onesta che può più facilmente di altre evolversi e sfociare nella soluzione cabalistica al problema del Male di cui tra poco parleremo, quando davanti alla ragione si aprono strade concrete prima non immaginabili e la speranza ci porta a provare ad inoltrarci lungo di esse.

Fabrizio Piola

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