Il mio disinganno bambino e il sole che sorge in te dal silenzio Fontana Editore

Il mio disinganno bambino e il sole che sorge in te dal silenzio

Rocco Fontana

 In occasione del mio 60° Compleanno - 7 Gennaio 2019 – voglio condividere con voi questi pensieri.

“...chiusasi a caso quella parte di porta dove era appoggiato il ritratto,  l’osservò il Dipingitore, ad alta voce in atto di meraviglia gridò,  questa è mano di Tiziano! Mostrò di ridersene il Gualdi e disse,  che se ciò fosse stato egli avrebbe avuto più di 200 anni,  soggiungendo che veramente ne aveva 86. E ciò fu l’anno 1677. Non si acquietò per questo il Dipingitore, ma sempre  asseveratamente affermava, che l’opera era di Tiziano. Intanto il Gualdi confessò 86 anni, quando non ne mostrava più di 40 e faceva delle operazioni da un Uomo, che si ritrovi in quel fiore della sua età”. Da una biografia di Federico Gualdi

E io che ne sapevo di come erano fatte le radio? Guardavo dal silenzio ogni cosa ed ogni cosa era il mondo. Ed il mondo ero io che guardavo; te lo ricordi o ancora lo temi, quel ricordo?
Fa paura questo te stesso/tutto.
No, non era lo ID di Freud, non è onnipotenza e non è allucinazione ma comunione con tutto; fragile, il bambino, perché dappertutto, sa di esser fatto di piccoli universi, da atomi vibranti di vita eterna.
Ecco dove piccolo è sconfinato.
Fin da bambino capivo che gli uomini vivono della più vispa idealità.
Questa idealità costituisce un mondo che si sovrappone alla realtà secondo un protocollo che abbiamo imparato dai nostri genitori e dal mondo che ci circonda; in molti credono di essere fuori dalla bolla da loro inventata, credono che basti essere logici o avere fede, ma ovviamente non è così.
Non è un complotto, non c’entrano né gli elohim né gli extraterrestri; questa matrix è semplice da riconoscere ma difficile da abbandonare. È elusiva, sembra andare e venire come un miraggio, ma invece è potentemente radicata nelle nostre abitudini di pensiero e sentimento.

In questa sfera ideale fuggire, colpire, nascondersi, stupefarsi, svenire, sono da sempre le reazioni tipiche; da lì sembra ai più che non ci si possa o non ci si debba muovere. Dall’ultimo degli operai conciatori fino all’imperatore tutti sembrano ripetere queste reazioni automatiche.
A me invece pare che questa vispa idealità di cui vivono gli umani possa, quando cosciente, aiutarli, ma che più comunemente li affoghi, essendo questa idealità una specie di potenza psichica troppo compressa ma al contempo dispersa, pervadente tutto.
Per riuscire ad avere questa continua forza proiettiva con noi – e non contro di noi – dobbiamo riuscire a vedere dal di fuori di questa “forza idealizzante” che altrimenti ci porta in giro come sonnambuli.

E da quale luogo neutro potremmo riuscire a vedere tutto il vero orizzonte della realtà?
Non posso dare una risposta “giusta-a-parole” per te, ma forse posso aiutarti ad evocarla in te; incoraggio chi legge ad una sfida beata, dato che non è facile la risposta e che io stesso ne ebbi ispirazione grazie ad altri, seppur attraverso me stesso.
Ascoltando, leggendomi, non farai altro che essere sempre di più te stesso, vedendo di te quella più ampia estensione inaspettata che da sempre ti attende.

Come un albero, non vivo di parole ma di esperienza quindi, mi spiace, non sono superstizioso, perciò non sono scientista, non sono positivista, non sono riduzionista, non sono materialista, perciò non sono trascendentalista, tutta roba che va di moda in questi secoli. Per quanto mi riguarda non mi sento di essere niente di enunciabile anche se per comodo degli altri umani, affermo con orgoglio di essere buddhista; se ciò mi si confà, è grazie all’approccio feroce di tale ordigno religioso nei confronti dell’illusione in tutte le sue possibili e finanche più inaspettate forme.
Il senso essenziale del buddhismo è l’insegnamento di una inenarrabile ferocia nei confronti della nostre allucinazioni e giustificazioni. La compassione viene dopo, prima deve scapparci il morto, ed il “morto” è la “farsa di noi stessi”.

L’“idealismo” sarebbe un approccio filosofico particolare che designa una qualche proiezione ideale sul mondo, al punto che qualche filosofo molto sveglio arrivò a dubitare dell’esistenza di una realtà oggettiva esterna. Però, per quanto riguarda davvero me, il filosofo avrebbe dubitato dell’esistenza di una-realtà-esterna-alla-MIA-idealità-nel-momento-che-IO-leggo-o-ascolto-questo-discorso; faccio questa considerazione dato che per iniziare a debellare questo idealismo compulsivo bisogna andare davvero sul personale.
Questo andare sul personale, al posto di spaventarmi o confondermi, mi fece venire un dubbio. Ma è che sono buddhista, quindi il dubbio lo faccio essere grande, insopportabile, divino; quel dubbio non ti scalfisce la realtà abbruttendola ma, anzi, come un buon tè te la allarga, e prima o poi te la esplicita in un eureka.
Però il vero, grande dubbio va posto fin alla radice dell’esperienza, nel silenzio e non nel pensiero, perché qua ogni costrutto mentale ci separa dalla realtà tramite una astrazione, come si separa convintamente e senza nemmeno un minimo dubbio il chimico riduzionista in preda al suo materialismo reificante che vuole solo formule, e che può solo vedere ciò che non ha corpo come “astratto” quindi privo di vita.
È solo questione di rendersi conto delle implicazioni, e di come facciamo equazioni stupide fra qualità totalmente differenti, pensandole come quantità.

L’idealismo comporta anche il fatto che mentre parliamo di qualcosa, forse ne siamo intrisi, ne siamo ricolmi data l’ipnosi di quanto vorremmo dire, come qualcuno che parlasse di vino essendo già completamente ubriaco e perciò senza riuscire a spiccicare una sola parola e oltretutto puzzando di vino, dato che ci è caduto dentro; non differente è l’approccio del filosofo che mentre parla del “principio di non-contraddizione” in realtà, lo sta guardando già da uno stato respiratorio-endocrino-sensorio-non-contradittorio senza nemmeno accorgersene. Un sincero buddhista queste trappole le sente a naso e non ci vuole cadere.
Non abbiamo da raggiungere una supposta “Oggettività” né nella nostra spiegazione, né nei paradigmi di una supponente conoscenza terminale, né abbiamo un vero bisogno di astrarci per vedere meglio da fuori la vita. La vita stessa; al contrario possiamo rinvenire una genuinità che è già intrinseca alla realtà, alla vita.

Ma di cosa stiamo parlando se agitiamo dei termini verbali e verbosi e nient’altro?
Da ragazzo mi sono posto a lungo e con severità la questione se io davvero esprimessi in presa diretta quanto esperivo, cioè in presa diretta dall’esperienza stessa. Quindi esperienza > espressione diretta, dove la presa diretta è la freccetta, (anche se è ridicolo dirlo così).

Accademicamente si parla dell’idealismo tedesco, italiano, di Cartesio, Berkeley, Hegel, o di quello trascendentale.
“Strane queste specializzazioni”, pensai, “è mai possibile che ci sia un solo uomo che NON sia intriso di idealismo?”.
Perfino nel bene o nel male, sia che ne sia schiavo o che ne sia ricolmo in quanto pura e silente potenza.
Se vogliamo saltarci fuori, potremmo prevedere questa liberazione come uno stato non proiettivo, ma volitivo, finalizzato precisamente e continuo, ovvero qualcosa per i più impossibile e fastidioso. Pochi sono dediti a ciò e in qual modo sono speciali: sono gli iniziati o i risvegliati. Costoro riescono a penetrare questa nebbia fittissima che coinvolge e sconvolge finanche il DNA, e costoro vi riescono in genere di nascosto, già solo per non esporsi all’influenza maligna dell’impotenza collettiva, alla matrix devastante di una spiegazione orizzontale, idealizzata e masturbatoria del mondo sempre ritornante su se stessa, sul bisogno collettivo a cui risponde e che genera, al contempo.

È molto interessante constatare come ci sia una contraddizione fra l’uso colloquiale della parola idealista e l’idea di idealismo in filosofia.
Non pretendo di andare nelle profondità della filosofia accademica, cerchiamo solo di definire questa contraddizione lessicale.

L’idealista comunemente inteso è un tizio con la testa per aria, magari adorabile; che so, un patriota, un missionario, un ricercatore in fisica quantistica, un sindacalista dell’ottocento. Invece il filosofo dell’idealismo sarebbe in realtà – secondo la filosofia accademica – uno studioso con i suoi occhialini tondi e piccini che già nel settecento, ebbe un dubbio sulla realtà, che poi, andando avanti nei secoli, toltasi la gorgiera già più piccola e senza pizzo, aggiungendo tabacco e caffè, diventa illuminista, ovvero con un collo alto e rigido della camicia.
Essendo un po’ più nervosetto, ha scritto un tractatus definendo ciò che sta vivendo in tempo reale con una esposizione di pensiero apparentemente più ordinata.
Apparentemente.
In realtà sta prendendo forma l’astrazione-come-mestiere.
Se ne sarà accorto?
Però al mio cuore di pensatore-senza-rumore ovvero di buddhista ciò che conta davvero è che ebbe un dubbio enorme: “forse neanche esiste la realtà”, e dici poco, “oppure non esiste precisamente come ce la siamo figurata”. Abbiamo chiamato questo idealismo dato che l’hanno buttato nella cesta delle invenzioni umane; in questa cesta sono anche l’immanentismo + il positivismo + l’esistenzialismo… il buddhismo - permettimi di scherzarci su - perché sono arrivati gli spericolati motociclisti della scienza, vestiti di cuoio e borchie, macchiati di nicotina, oltre che armati di catene di sillogismi e bottiglie di birra. Gli hell driver scientisti hanno iniziato a imporre la credenza – secondo loro oggettiva - che un tavolo fosse davvero un tavolo in senso neurologico-chimico (non mentale-inter/relazionale-metafisico) e per questo c’hanno appoggiato di peso sopra i loro stivaloni fangosi. Traduzione di “tavolo” in illuminatese: "il tavolo... è un tavolo 'a prescindere' cioè esterno alla mia attività mentale che, infatti, viene qui ridotta a quella cerebrale. Quindi all’impotenza". Ho dimenticato qualcosa?

Quindi, via gli hooligans fideisti, per i quali tutto è parte del grande disegno di salvazione e quindi è ottimo e abbondante – come si diceva del rancio militare – oltre che punteggiato (signa) di varie verità dimostrabili solo da dogmi - lasciato un bel vuoto di gnosi esperienziale e stracciata ogni mappa dell’esperienza - ecco che, arrivano gli hell’s angels scientisti, quelli delle verità dimostrabili solo dalla teoria ora in voga, che sono degli hooligans il proseguo meccanico e sciuffettante. Niente di nuovo sotto il sole.

Sorge una domanda: chi saranno i prossimi marinai ubriachi che verranno a importunarci? Ovviamente lo dico con affetto. Del resto nessuno può dire niente a questi hooligans ed hell’s angels perché si sono inventati entrambi dei sistemi di pensiero ad hoc: inamovibili, confacenti al periodo, perciò convincenti al millesimo per i poveri di spirito, perché precisissimi nella loro angeologia e parafernalia. Il ginocchio sull’inginocchiatoio, l’occhio nel microscopio.

Come dire, entri in tabaccheria non per comprare una bicicletta o del prosciutto, ma perché sai che già ti aspettano un pacchetto di sigarette, oppure un biglietto del bus, o del sale da cucina. Ma che, sei matto?
Fine. Punto. Non ci provare.
La domanda che sta al fondamento della cosiddetta cre-di-bi-li-tà è e resta: ciò che hai scoperto fa parte della grande descrizione usuale in voga in questo tempo?
Se la risposta è no, quello che hai visto e che puoi dimostrare, per la massa, non vale.

Ho parlato con chimici e con fisici geniali che mi hanno esternato il loro punto di vista; hanno provato a spiegare ai loro colleghi che l’acceleratore di particelle non serviva, che loro sapevano già la risposta; in realtà anche i colleghi si rendevano quasi conto che la particella di Dio era una cosa senza molto senso o, meglio, un tentativo, ma che era un tentativo del valore si milioni e milioni di euro. Poi, si sa, intanto la gente si esalta, i divulgatori vanno in orgasmo e l’ipnosi scientista di massa macina; la scienza deve progredire, in fondo non esistono fallimenti, giusto?

Un uomo penetrò, agli inizi del novecento, il mondo scientifico materialista con un quesito davvero imbarazzante: “Certe cose non esistono? Precisamente… Quali ‘certe cose’? ...Ma, Avete mai considerato i casi conclamati ed innegabili di poltergeist?”.
Questo genio fu Charlie Dunbar Broad. Sociologo, forse antropologo sconosciuto ai più, ovviamente.
La domanda è semplice e riguarda lo scatenamento di forze psichiche latenti, sì, ma ben manifeste, che provengano da esseri umani, in genere adolescenti. Intere stanze messe a soqquadro davanti alla famiglia spaventata; tavoli e sedie che si alzano e vanno gravitando per la stanza, voci, rumori estranei, presenze tattili ben rilevabili e via così.
Ma il prof. Broad era uno che diceva le cose seccamente, senza ripensamento; a quel tempo fece outing, si definì come omosessuale in pubblico, nello stesso periodo storico in cui Oscar Wilde fu incarcerato per lo stesso motivo.
Questo è ciò che chiamerei “orgoglio omosessuale”.
Ma lui aveva anche un orgoglio umano incontenibile e lo ringrazio di cuore.
Sempre circa nello stesso periodo, un certo Arthur Conan Doyle inventò un altrettanto “certo” Sherlock Holmes, certo di poter tutto contenere nelle sue indagini precisissimamente materialiste ovvero chimico-fisiche, durante le quali si fece beffe di tutte le cialtronate metafisiche che i suoi nemici si inventarono di continuo.
Ma un giorno Conan Doyle cambiò idea dato che, lui, era possibilista davvero quindi non ci rimase male. Accettò la realtà.
Ne derivò un intenso scambio epistolare col Conte Mattei, il primo fondatore di una multinazionale farmaceutica che fu – sorpresa! - omeopatica, anzi elettromeopatica, che produsse rimedi di sconvolgente potenza, e l’amicizia con un ipnotista piuttosto famoso, Alexander Erskine, che un giorno lo incluse in un suo esperimento.
Erskine scelse un soggetto facilmente ipnotizzabile, un ragazzo adolescente quindi in età da poltergeist. Il padre era un certo Jack Mardell, ufficiale della legazione portoghese di Londra; questi nel frattempo era andato a fare delle commissioni, mentre quanto fece Erskine fu di ipnotizzare il ragazzo e di chiedergli per filo e per segno, in tempo reale, dove andasse il padre e a fare cosa. Il racconto fu molto preciso dato che il ragazzo riuscì a riconoscere ogni strada, il numero di via, il tipo di negozio o di ufficio e perfino il volto delle persone interessate.
Il padre ritornò e gli fu chiesto dove fosse andato. Constatarono che ogni dato corrispondeva al minuto, e verso la fine del racconto, furono loro a raccontare quanto fosse scritto, nel più grande stupore del padre, che lesse tutte le note rimanendo sbalordito. Un’altra volta Erskine fece descrivere da un proprio paziente sotto ipnosi, Conan Doyle presente, la casa di questi dove, in quel momento, c’era la moglie dello scrittore, definendone i mobili, i servizi da the, il vestito che indossava, i colori delle tappezzerie e finanche i più minuti particolari momentanei, come gesti e movimenti.

Da bambino vidi quasi subito che gli adulti non scherzavano.
Dapprima credetti che facessero del teatro; mi sembrava incredibile che gente grande e grossa si smarrisse col pensiero a riguardo di intuizioni che per me erano invece ovvie, connaturate, evidenti. Aperte come lo era il mio sguardo. Nulla di più.
S’arrabbiavano e poi, se non svenivano paonazzi, forse si calmavano. Correvano qui e là, si raddolcivano di colpo, ti parlavano come se tu fossi stato scemo, se ne andavano e poi ritornavano, e tutto questo con una intensità ricolma di fede, come se ci fosse sempre un domani ubriaco ad attendere le tue emozioni con un applauso oceanico, una standing ovation solo per te, provvista di hostess che lanciano fiori e bambine che seminano un tappeto di petali di rose. È che tutta questa attesa speranzosa e consumante - Lao Tse la definì immobile scalpitio - non mi pareva sensata in una sfera di esistenza dove fosse presente la fine.

Non sapevo niente di filosofia a quattro anni, figuriamoci, e su alcuni punti ero confuso, ti giuro che pensavo che nella radio ci fossero delle piccole formiche che parlavano e cantavano; ma dovetti far presente agli adulti che esisteva la morte, non come fatto filosofico o depressivo/religioso, ma come FATTO che ha – per gli Dei! - delle CONSEGUENZE inevitabili.
Intuire la vastità della morte ci cambia la qualità di quanto viviamo IM-ME-DIA-TA-MEN-TE. Non ho detto paura o spiegazioni, ho detto morte.
Inutile trovare scuse, si può solo fare finta di dimenticarsene.
La frase precisa fu: “Perché correte se dovete morire?”.
Mia madre si scusò coi presenti e accarezzandomi mi disse: “che bambino intelligente, che bambino profondo! Che bambino sensibile”.
Pensai “bah! Se l’è cavata con poco!”.
Però apprezzai e molto le carezze.

La morte che percepivo non aveva una spiegazione filo-sofica. Non era per me sensato pensare cose inutili come “finisce tutto” o “continua qualcosa”, perché per me tutto, nulla e qualcosa erano nello stesso sguardo.

La morte, avevo capito subito a quattro anni, non ha nemmeno un significato “giuridico”, non viene inflitta come una pena. C’è e basta, c’è perché sì, e tutto l’universo vi risponde armonicamente, senza soluzione di continuità, perché tutto risponde a tutto e solo gli stupidi credono (nota il verbo) che a ciò ci sia una spiegazione. Avevo già capito questo perché in tutta evidenza potevo già vedere come morte e vita non avessero in sé un significato definito, proprio perché ciò di cui potremmo parlare sarebbe, in realtà, soltanto una PAROLA.
Vita = bla. Morte = bla.
Trovami una differenza che non sia solo un’illazione, ovvero un intervallo fra l’esperienza, verace, e la descrizione in differita della stessa.

Per gli etruschi il verbo morire ed il verbo nascere era lo stesso: sval.

La morte di cui si poteva parlare fra gli umani era intrisa di sentimento, di logica, di speranza o di evitamento della speranza se non del sentimento o della logica, o al contempo di tutti questi, comunque era pieno di tutta quella roba che NON è esperienza nuda e diretta ma elaborazione astratta di ogni genere, dello stesso tipo che la superstizione scientifica attuale reputa oggettiva. Dì solo che ti è utile, se lo è, ma prima di credere che sia oggettiva, almeno, studiati Zenone, Parmenide, Eraclito. Nagarjuna. Heidegger. Entra nel mistero, almeno in quello contenuto dai libri, se no assomiglierai sempre a te stesso per crogiolarti nelle certezze dell’analfabeta-interiore-però-esteriormente-laureato.

E ci si chiede ancora a cosa serva la filosofia quando la scienza può spiegare tutto.

Ma è che noi siamo conoscenza viva, la nostra esperienza è conoscenza viva, GNOSI.
Ecco perché i Maestri del passato dicevano le stesse cose identiche e creavano tranelli e paradossi per farti saltare fuori e non, come credono gli umanisti accademici, per spiegarci il mondo. Questa è la loro idea, non quella degli antichi, ed oggi, piano piano, ce ne stiamo accorgendo. Addirittura dopo che il buddhismo è giunto in Occidente iniziamo a capire i presocratici… e dove li avevamo infilati prima, poverini?

Quella nuvola definibile come idealità va capita da un luogo dove tale pulsione non può giungere e che non può contaminare. Deprivati di quel luogo incontaminabile, di questa beatitudine, prima o poi inventeranno delle pastiglie per tornare beati. È per via di una tale diffidenza a oltranza verso la vita che, infatti, quelle pastiglie le hanno già ideate e sono già in vendita. Anche in endovena, non devi neppure andare dallo spacciatore, basta che tu sia ammalato di sbaglitudine, che tu ti sia smarrito, il che vuole dire per i materialisti che ciò sia neurologico e quindi PER SEMPRE.
Una damnatio memoriae, ma che è dentro, che ti aspetta dentro.
L’incoscio magmatico – una reinvenzione del diavolo – che inventò Freud onde fondare un nuovo sacerdozio, se ti acchiappa e ti possiede rende fisiologica ogni istanza ulteriore. Allora dovrai tirare quel carretto come fa un somaro.

Chi si sveglia può scoprire la sua identità bambina, del tutto asessuata e senza età che svampa sempre più nella non-identità/identità-eterna, preverbale, senza-una-sola-idea-che-sia-una ma spalancata in tutto.
È così che capisci in quale fetecchia ti hanno/ti sei avvolto ben bene.
E poi scegli di essere come ti pare per davvero, oppure come ti conviene essere coi carichi che ti porti dietro, il che va bene uguale perché non mancherai certo di vivere in ogni caso, così risolvendoti in ogni caso.

L’idealismo in sé parrebbe quindi una malattia, che potrebbe tuttavia essere l’inizio della cura, ma solo se avviene un salto inaspettato che porti dalle idee all’esperienza nuda, beatamente assassina della vaghezza in una esperienza detonante di silenzio-mentre-si-vive.
Meditare.
Perché ne sarei così sicuro? Perché tu mi puoi dare la definizione di tutto, ma se non riesci a manovrare in tempo mentre stai guidando e qualcuno sbuca fuori di colpo, ammaccherai il parafanghi.
Avresti voluto mai ammaccare il parafanghi? Sicuramente a livello della tua coscienza di superficie no. Ma secondo la tua coscienza estesa ed interattiva sì, infatti ci sei riuscito.
Soprattutto perché probabilmente - perdonami questa banale uscita colpevolistica - parlavi a vanvera nella tua mente invece di stare attento alla guida, e questo è già in sé una confessione di impotenza, per quanto sia incipiente al rinvenimento di un mistero… Se fosse che almeno nel momento dell’impatto taci e vedi IL reale.
Quando inizi a sentire il sintomo, se vuoi, sei vicino alla cura, come quando la primavera è vicina poiché l’inverno è alle porte.
Ci sei quasi adesso, se andrai nella meditazione, se andrai nel dubbio grande.

Un taoista di millenni fa, senza peli sulla lingua né superstizione, te lo potè spiegare bene: “ho perso l’uso della gamba perché non sono stato capace di conservarlo, non perché sono caduto e mi sono fatto male…”.
Altrimenti sarebbe troppo facile. Ma noi non sopportiamo questo fatto, perché ci pare colpevolistico e antidemocratico. Siamo dalla parte dei farisei che, furbi!, chiesero al Cristo se quel bambino fosse cieco per colpa dei suoi genitori o sua!
Gesù non potè rispondere cose complicate dato che sarebbe state usate contro di lui ma potè solo dire “né sua né dei suoi genitori”; perché di colpa, COMUNQUE, si sarebbe dovuto parlare.
Chi non sa pensare (non riesce a tornare al silenzio) sceglie un paradigma e gira attorno a quello, e quello pretende come alfa & omega di ogni discorso; infatti sa fare solo discorsi e giammai vorrebbe tornare al non-paradigma, all’assassino di ogni idealismo, al centro di ogni idealismo, all’ammazzante silenzio.
Da quel silenzio Epitteto, che era zoppo, disse “l' essere zoppo é un impaccio della gamba, ma non della disposizione d'animo” e lo disse non sulla base di una speranza, ma di una nitida esperienza.

Meditando, un silenzio niveo ci sopraffà; questo l’ho esperito nella meditazione e in presenza dei miei Maestri e probabilmente condividiamo lo stesso effetto praticando insieme io e te. Tutti noi Uno. Tutto l’Universo Uno. Uno uguale a Zero uguale a Infinito uguale ad ogni Numero. Questa è la meditazione profonda.

Il punto è che quel silenzio ci attende mentre, al contrario, per il chiasso delle concezioni e delle idealità bisogna voler perdere il silenzio in cui si viveva da bambini, durante il quale potevamo anche urlare o parlare per ore senza mai smarrirlo e senza mai smarrirci in nulla; i bambini mentre giocano, per via di quel silenzio ancestrale, non sognerebbero affatto in stato di proiezione eidetica sulla realtà, in realtà stanno proiettando realtà nella (non “sulla”) realtà. Tutto questo per via del silenzio e del giocare; non del giocattolo in sé o della lettura dei soliti accademici psichiatricizzanti.
Il bambino è temuto dalla scienza e guardato a vista.
Era temuto, come anche piegato, dal cristianesimo nonostante le parole del Cristo. I bambini sono i primi ad essere investiti dalle teorie più scontate e grossolane dell’idealismo adulto. E così resta vero il fatto che i bambini sono insondabili. Non utilizzabili ai fini di una bla-comprensione della bla-realtà.

“Formiche dentro alla radio… Andiamo! Che innocente, povero idiota…”.
Seppure educato e inclusivo, democratico o di sinistra, chi ragiona così materialisticamente lo riconosci da decine di metri; è cubica la sua testa, nonostante appaia tondeggiante.
Tutto è per lui uno scenario di cartapesta, niente è vivente ma solo una “cosa” esterna, una formula esaustiva e totalizzante; un ogni-cosa schiavo di un lunedì mattina appiattente, bidimensionale e commentato in diretta senza posa.

Il momento finale e velenoso dell’idealismo scientifico riprende quello cristiano: bisogna dare un sacramento a che qualcuno sia salvo e smetta di avere paura, dato che non sarebbe riuscito comunque ad affidarsi alla vita stessa.
Di fronte all’ideale di tale grandeur scientifico/salvifica niente potrà fermarli, e tutti coloro che si frappongono andranno esorcizzati, fatti oggetto di anatema e sterminati.
Ma questo non deve essere saputo, è troppo spaventoso, ancora l’ideologia è considerata un utile strumento di vita; “positiva” poiché proiettiva e quindi indicante un cammino di speranza. I valori.

E sia, del resto il rattrapimento non permette di vedere; questo ci dice la casistica aggiornata delle reazioni avverse, sia quelle conclamate che quelle non riconosciute, più quelle cronicizzate quindi non rilevabili in quanto bombe a orologeria nell’esistenza dei singoli. Una pulsione di morte collettiva che in altri tempi si traduceva in cannonate.
Così può essere smarrita la memoria del primordiale, della salute fisica o spirituale già vivente e già potentemente capace di organizzarsi; l’evocazione di ciò che più ci mostra tale caduta è proprio il nostro potere immunitario che attacca chi ne vive.
Giammai viene compreso dai soloni come si possa recuperare quel potere risanato.

Allora: è invece la magia il grande segreto della vita e dell’essere? Questo è il luogo riposto di ogni potenzialità e di ogni potere capace di riscattarci?
Ha ragione chi intravede il principio delle cose e che, così agendo su di esso, in un modo che tutti dicono impossibile, riesce così a compiere proprio l’impossibile?
O forse è un altro strumento che può cadere in mano di ulteriori marinai ubriachi?
Non serve fare Dio se sei già Dio e guardi dal suo occhio eterno; ma è che “solo” devi capire come realizzarlo nell’Uni-Verso al posto di scimmiottarlo con la fede, con le teorie scientifiche o con i poteri magici.

Realtà nella realtà è la gioia dell’eterno bambino, beatitudine e riconoscimento vivente.
La fuga da questo oceanico paradiso sono tutti i comportamenti di chi ha solo paura. Come si può dire che questo poveruomo abbia conoscenza o coscienza? Come si può dire che pensi, costui, se non gli sorge dal silenzio mattutino il sole?
L’illuminato non è perfetto ma vede il reale anche quando si sbaglia o dice scemenze.
È che ogni mattino il Sole sorge dal silenzio, nulla possiamo contro di ciò; finalmente non riusciamo più a dimenticarcelo, è ridicolo dirlo così ma bisogna pur dire qualcosa. L’illuminazione è il risveglio che allora ci esplode dentro ma che è ovunque e da sempre.

Meditando, spalanchi i tuoi sensi nell’ovunque della sera; non perdere tempo, impara a incrociare le gambe e ad andare nell’assorbimento che fa di te tutto. Richiedi a te - a chi se no? - l’eternità che ti è data di nascita ma che gli umani dimenticano...

Dopo l’assorbimento e l’esplosione, finalmente, se viviamo ancora ed ancora questo, possiamo parlare di idrogeno, di astronomia, di mescalito o di entropia, di Apollo o di Mercurio Filosofico, se non di folgore-adamantina, di Spirito Intelligente e di Dei, di satori o d’eucarestia.
Non fa più alcuna differenza o, meglio, sono solo differenze gioiose, perché l’idea ha trovato la sua ubiqua, oceanica non-radice. Nessuno necessita in sé stesso di un homo sapiens, religiosus o scientificus, ma di un essere umano reale che sia noi stessi.
Puoi solo darti una mossa e incontrare chi come te vuole essere reale; il mio “mestiere” è incoraggiarti e meditare assieme a chi vuole incontrare quel Noi proprio Noi, che è tale da un tempo senza inizio mentre camminiamo, sediamo, dormiamo, amiamo. Questo Noi Stessi che siamo ovunque ed in ogni tempo, essendo conoscenza, fede, magia e gnosi sorgiva, Questo ti attende qua.
Ricorda e ancora ricorda, per ricordarlo ancora.
Tutta la potenza di questa scelta ora è con te, affermala ora nella tua silente meditazione. È qua e sta ascoltando.
È la tua meditazione silenziosa che ORA sta scrivendo e leggendo queste parole.

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