La Kabbalah Ebraica ed il Paradosso di Epicuro - parte 5
Gli Ḥassidim ed il Problema del Male. Gioia nel Dolore e Dolore nella Gioia. Forse nessun altro al mondo crede maggiormente e con maggior trasporto all’affermazione secondo la quale D-o è il Bene, e che è, per antonomasia, Colui che è Buono per Natura più di quanto non facciano gli Ḥassidim.
Forse solo i Sufi percepiscono il Creatore in questo modo così assoluto e coinvolgente, tanto mentalmente ed emotivamente, quanto fisicamente. Sufi e Ḥassidim infatti danzano la loro gioia e la loro fede ed attraverso il movimento estatico del corpo e della mente contemplante esplorano le dimensioni attraverso le quali vive e si diffonde la Luce.
L’Ḥassidismo (In Ebraico: חסידות, hasidut, simile al latino "pietas", “amorevolezza”, la radice è la stessa del nome della sephirah Ḥesed), è una corrente religiosa, sia storica, che contemporanea dell’Ebraismo, particolarmente dedita agli studi cabalistici. Nasce come un movimento di rinascita spirituale marcata da intenso spontaneismo, fede gioiosa ed assoluta e grande impegno al compimento di buone opere. In un certo senso, si presenta come un bilanciamento che si colloca “a contrappeso” di un modo di vivere l’ortodossia connotato dall’intellettualismo, dallo studio continuo ed estenuante, dal rigorismo halachico che potremmo dire connotò fino ad allora l’Ebraismo ashkenazita Europeo, il cui simbolo fu la torreggiante figura di Rabbi Eliyahu ben Shlomo Zalman, meglio conosciuto come il Gaon di Vilna [oggi Vilnius in Lituania], detto il GR”A.
La culla dove è cresciuto e lievitato l’Ḥassidismo è il mondo agricolo ed artigiano dei piccoli Shtetl (villaggi ebraici) dell’Ucraina Occidentale, dove si sopravviveva e si sviluppava una vigorosa cultura “yiddish” tra persecuzioni dei governi e pogrom dei Cosacchi. La figura spirituale centrale e modello assoluto degli Ḥassidim è Rabbi Yisroel Ben Eliazer, detto il Baal Shem Tov (Signore del Buon Nome), uno straordinario Giusto o “Tzadik” di estrazione popolare, la cui figura giganteggia nell’ebraismo del XVIII secolo e che compare come protagonista in decine e decine di aneddoti spirituali e racconti edificanti.
Oggi gli Ḥassidim sono parte del mondo Ortodosso Ebraico ed anche Ultra-Ortodosso detto “Haredi” (letteralmente da “Irah” = Timor di D-o “I Timorosi” oltre che “I Timorati”). Nella loro galassia rientrano gruppi piuttosto noti e visibili, come i Lubavitschev ed i ChaBaD. All’interno dello stesso ebraismo, la cultura Ḥassidica ha dato luogo a problemi di convivenza – soprattutto all’interno dello Stato di Israele - laddove i religiosi secolarizzanti e i laici ne criticano fortemente le posizioni di contrasto tra il loro mondo ed il mondo esterno. Per certi versi il mondo Ḥassidico ha scelto di rimanere ancorato nel XVIII secolo, non solo nell’abbigliamento obiettivamente anacronistico, ma soprattutto per aspetti di conservatorismo spesso estremo, per il rifiuto dei media e di qualsiasi forma di comunicazione non espressamente approvata e controllata, per la tendenza all’isolamento ed all'auto ghettizzazione di alcune frange, per le contraddizioni quali il rifiuto e l’esenzione dal servizio militare, il rifiuto di riconoscere Israele come stato nazionale degli ebrei, l’ostilità verso l’esercito e le forze dell’ordine, verso chiunque, estraneo, attraversi le loro zone di residenza, l’imposizione ai propri vicini dei propri standard in termini di osservanza dell’halacha, - per esempio dello Shabbat e della tzeniut o modestia dell’abbigliamento femminile - ma al contempo il percepimento di sussidi statali. Molti studi medici recenti confermano i problemi di questa scelta di vita antagonista dimostrando come la percentuale di sofferenti di nevrosi e di comportamenti ossessivo-compulsivi, è sensibilmente più elevata nel mondo Haredi-Ḥassid rispetto al resto della popolazione israelita, a volte già in tenera età e per effetto di una forma di educazione dei giovani ortodossi, che i laici definiscono gravemente autoreferenziale.
Ma quello che a noi interessa qui è adesso è la tradizionale scelta propria del Ḥassidismo di mettere a fondamento della loro forma di religiosità la Kabbalah Lurianica, che loro stessi hanno reso popolare negli ultimi 30 anni anche nel mondo dei Gentili. Perché questa forma di Kabbalah ha trattato e risolto il Problema del Male come nessun altra ha fatto prima.
La sensibilità degli Ḥassidim è fortemente indirizzata alla percezione della Presenza Immanente di D-o nel Mondo e nell’Universo tutto, laddove risulta evidente che è presente anche il Male. Quindi non si accoglie qui la separazione Neoplatonico-Gnostica, in virtù della quale, questo mondo è il Regno del Male, mentre lontana e separata, nell’altissimo dei Cieli, vi è la Gerusalemme Celeste. Al contrario per i Ḥassidim D-o ed il Male sono presenti sullo stesso scenario MA NON SONO ALLO STESSO LIVELLO.
Gli Ḥassidim credono che il rapporto tra l’Uomo e D-o sia caratterizzato, nella sua essenza più pura, dalla relazione inscindibile che intercorre fra Chi ha l’immenso bisogno e desiderio di ricevere (noi) e Chi ha invece l’assoluta ed infinita propensione a dare illimitatamente ed incondizionatamente (HaShem). I lettori di Laitman tengano presente che questo è il significato dell’espressione favorita presso i Bnei Baruch: “wish to bestow meets the wish to receive”.
Ecco allora che negli Ḥassidim il problema del Male, qui inteso nel senso della malvagità morale a cui gli esseri umani danno forma attraverso azioni impure e dettate dalla continua brama dell’Ego (che è la dimensione negativa, quella della separazione dal Creatore, mentre l’Unione con Lui ed in Lui è lo Stato Naturale dell’Uomo e del Creato tutto) più che opera di un ipotetico ente maligno, creato a sé stante, è il Problema DI PORRE RIMEDIO AD UN’ASSENZA DI LUCE.
Ovunque si lasci entrare la Luce, il Male è assente o reso inoffensivo. Dove vi è assenza di Luce, lì si generano i mostri dell’ego e le sofferenze che affliggono tutti noi. Il Male dal suo angolo buio dell’Universo da dimensione potenziale diviene realtà materiale per mezzo dell’azione trasgressiva dell’Uomo
Quest’ultimo, una volta che inizi a muoversi nel mondo prescindendo dalla presenza della Luce o rifiutandola, getta continuamente fango sul volto della Creazione e sfregia il Regno di Malkhut, Mondo che è anch’esso una sephirah contenente la totalità del Divino filtrata attraverso il continuum dello spazio-tempo in cui si manifesta la materia. Male deturpante, male contaminante e male ostacolante i processi e gli sforzi diretti verso la necessaria “correzione”.
Per gli Ḥassidim si trattava di un problema così serio che ha richiesto la formulazione di una soluzione formidabile, da parte di un uomo altrettanto formidabile. Il suo nome era Yitzḥak Ben Shlomo Luria Ashkenazi. Noi ebrei ci riferiamo a lui come l’AR”I (z.a.l.). Dell’AR”I e solo di lui parleremo nel prossimo segmento (sesto e penultimo, nei miei piani)
La risposta data dagli Ḥassidim è la replica ad una sfida secolare, tesa a riuscire a spiegare in modo completo ed incontrovertibile le meccaniche metafisiche che ci spieghino Origine, Presenza e Qualità del Male, offrendone però, fortunatamente, anche una possibile cura, la quale, secondo l’Ḥassidismo, discende direttamente dalla conoscenza diretta del fenomeno e dalla accettazione delle sua non separabilità dalla radice stessa del Divino.
Per questi straordinari visionari dell’Amore Infinito, il Male trae la sua origine dalle modalità stesse in cui si estrinsecò il formidabile “parto” divino della Creazione, avvenuto all’Inizio dei Tempi attraverso la dialettica dello scontro, svoltosi su di una scala per noi non rappresentabile, tra il Vuoto e la Luce.
La Teodicea degli Ḥassidim è quindi sostanzialmente una rilettura in questa chiave della loro stessa Cosmogonia dello Tzimtzum (Contrazione) e della Sheviràt ha Kelìm (la Rottura dei Vasi), che è allo stesso tempo una Teosofia, un’Ontologia, una Gnoseologia ed infine – naturalmente - un’Escatologia innovativa e geniale che riguarda il riscatto e la santificazione della Creazione intera.
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La prima soluzione storicamente avanzata dagli Ḥassidim è una riflessione – che è già stata formulata anche da altri gruppi umani prima di loro – che verte sul concetto del FINALISMO DEL MALE, il che ne giustificherebbe la (pericolosa ma necessaria) presenza nel mondo. Questo concetto afferma che non è etico, e che quindi non è perseguibile per l’Uomo, sfamare in eterno i bisogni della sua anima ricorrendo alle benedizioni di D-o, ottenute senza alcun merito e senza aver fatto alcuna scelta, lotta o almeno un cammino volontario e consapevole. Questa situazione spiacevole ed imbarazzante lo Zohar la chiama in aramaico “Na’ama d’Qisufah” = “Pane della Vergogna”.
HaShem ci ha posti nell’Arena della Vita, armando la nostra intelligenza e sensibilità etica ed emotiva del Libero Arbitrio e della guida della Sua Torah, perfettamente preparati e capaci di affrontare il Leone del Male e, con la Sua benedizione, non soccombergli e passare infine, vincitori ed esperti, attraverso la Porta della Libera Scelta del Bene che riconduce ad HaShem stesso.
Chi vi riesce, ha accesso alla dimensione spazio-temporale concreta e reale della ricompensa, il Mondo a Venire (Olam HaBa).
Lo scopo finale dell’intera creazione, secondo la mistica ḥassidica, è quella di correggere, riparare, guarire, riequilibrare questo mondo perché esso possa divenire Materia completamente trasfigurata, transustanziata e redenta, tale da trasformarsi in Dirah BeTachtonim, ovvero dimora nel mondo sensibile del D-o Vivente, Re dell’Universo laddove Questi si riunirà al Pertzufim separato ed in esilio, che “lo completa” (metaforicamente): la Shechìnah, Sposa dello Shabbat e Regina della Pace.
Una cosa davvero degna di essere notata è che, secondo molti threads del Ḥassidismo, gli uomini lotteranno contro il male per generazioni e generazioni, per una ricompensa finale che è probabilmente posta oltre la loro vita, tranne che per quelli della generazione presenti all’avvento del Meshiach (Messia), il quale abiterà con questi ultimi la Terra trasformata in un Mondo Nuovo, laddove il Tohu (Chaos) è stato per sempre ricondotto nell’ordine del disegno divino sul mondo. Quella generazione, dicono i midrash, potrà godere della Luce della Shechìnah, illuminata oltre ogni umana possibilità di immaginazione in conseguenza dell’avvento di uno Shabbat senza fine.
Gli Ḥassidim, nondimeno, credono nella resurrezione dei Giusti. Molti di loro sono sepolti nel grande cimitero del Monte degli Olivi che guarda direttamente il colle di Sion e la Porta d’Oro (Golden Gate) nelle mura di Gerusalemme. Porta questa che fu murata apposta dagli Ottomani, e che nel folklore religioso Ḥassidico, il Meshiach farà crollare i muri riaprendo la Porta, per fare rientrare i risorti in città, per unirsi così al resto del Mondo Rettificato fino alla fine del Tempo.
Secondo questa visione il male è un elemento essenziale del campo di gara dove si svolge la nostra vita. La via del Ḥassid è quella che cerca di evitare tutte le buche e schivare le folgori, osservando integralmente la Torah e senza infrangere alcuno dei 613 Mitzvot, ed infine passare il traguardo della morte con un retaggio sufficiente a farlo rientrare tra i giusti. La ricompensa? Non c’è ricompensa. O meglio, consiste nel sapere che avendo fatto la Volontà di HaShem abbiamo dato il nostro contributo a riportare Ordine e Bellezza nel Chaos, dove si erano perdute le 288 divine Scintille. Non di meno il dato teologico enorme è che l’Uomo è il co-creatore, perché HaShem ha voluto chiamare ciascuno dei suoi a rettificare una piccola porzione di mondo intorno a sé, operai della sua officina, costruttori del suo tempio, il Dirah Be Tachtonim. Come dice lo Zohar il lavoro dell’Uomo è convertire l’Amarezza in Dolcezza, le Tenebre in Luce.
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Il modo stesso in cui questo nostro mondo è venuto in essere, nel dispiegarsi dello slancio creativo di HaShem, è tale che una delle sue principali caratteristiche è quella di CUSTODIRE OCCULTATA NELLA MATERIA la sua Origine Divina. Allo stesso modo HaShem crea il suo prediletto, l’Uomo, nella forma di un corpo di carne ed ossa in cui risiede occultata una infinitesimale scintilla tratta della Sua stessa Essenza Immortale.
Messe le cose in tal modo, va da sé che il compito dell’Uomo sia innanzi tutto quello della correzione, della raffinazione, della rettificazione del Sé divino, estraendolo da quel contesto così come si estrae e poi si lavora un diamante liberato dalla morsa in cui la terra lo stringeva. La rettificazione è detta Tiqun. In successione l’Uomo è atteso dal Tiqun haGuf (Rettifica del Corpo) > Tiqun haMiddot (Rettifica del Carattere) > per poi prendere il posto come tzadik nel Tiqun haOlam (Rettificazione del Mondo). In questa concezione risuonano chiaramente echi comuni a tutte le grandi tradizioni iniziatiche e spirituali del Mediterraneo e del Vicino e Medio Oriente originatesi nel Mondo Antico.
L’anima dell’Uomo, nelle sue 5 stratificazioni, è di per sé santa e perfetta perché è illuminata dalla 5° ed ultima di esse, la Yechidah, la Presenza Unificante, la Scintilla (Nitzotz) che proviene dalla stessa Sostanza dell’Eterno. Essa non richiede rettificazione alcuna.
Come D-o stesso ci ha voluto far capire attraverso il Sogno della Scala di Giacobbe, la discesa dell’Anima in questo mondo, la sua permanenza nella temporanea dimora del corpo, avviene solo per consentirle di cimentarsi nell’Ascesa di Ritorno, con cui essa recherà, infine, con sé quella unica ed insostituibile esperienza individuale della vita nel mondo del divenire, di cui l’Eterno vuole fare in tale insindacabile ed insondabile modo la totale esperienza. L’Esperienza cioè di tutte le situazioni possibili nella materia.
Così facendo la nostra anima immortale adempie al suo dovere di compiere UN SERVIZIO SACRO nei confronti di D-o. Mentre l’Anima dell’Uomo lavora nella Materia, tutta intenta a svolgere la sua parte nel Tiqun HaOlam, essa è, più di ogni altra, cosa bella e degna ai Suoi Occhi:
E più profonda, per gli Ḥassidim, è questa nigredo causata dal fatto che il Male ed il Caos delle tenebre la pervadono, tanto più sarà alla fine brillante la Luce che l’anima del Giusto sarà stato capace di ri-convertire attraverso l’uso appropriato delle 12 qualità che Rav Yitḥak Ginsburgh chiama I 12 POTERI DELL’ANIMA:
- Achavah (Amore),
- Bitachon (Fiducia),
- Bittul (Vuoto in sé stessa, Soppressione dell’Ego),
- Emet (Verità),
- Emunah (Fede in D-o),
- Rachamim (Misericordia),
- Shiflut (Abbassamento di Sé rispetto alla Sublimità ineffabile di HaShem),
- Simchah (Gioia di esistere),
- Taa’anug (Piacere di esistere),
- Temimut (Sincerità, semplicità e schiettezza),
- Yichud (Unità con D-o)
- e Yirah (Timore di D-o).
Queste qualità sono anche dei percorsi, dei decoupàges dell’Essere. Nella vita ognuno di noi potrebbe scegliere di percorrere, passando di esperienza in esperienza ANCHE UNO SOLO di questi 12 percorsi. Non di meno giunto alla fine perverrebbe in ognuno dei 12 ALLA MEDESIMA CONTEMPLAZIONE DELL’UNICO DIVINO, manifestazione che fa di quella che all’inizio fu una Fede un’Esperienza reale.
La tradizione della Kabbalah, generalmente in tutte le scuole e correnti, si riferisce in modo metaforico al Male con il termine, già visto in Scholem, Kelipah o Qliphah.
Se Kli (plur. Kelim) – parola con cui condivide la radice - significa vaso, contenitore, kelipah allora significa “buccia, scorza, guscio” e quindi “scarto”. Al plurale diventa Kelipot o Qliphot, termine usato nella dottrina del Percorso della Mano Sinistra per indicare le dieci anti-sephirot su cui il Male si articolerebbe per esercitare una completa e sistematica azione enantiomorfa, di contrasto rispetto alla penetrazione organizzata della Luce divina nel mondo del divenire.
Un nostro contemporaneo, il Rabbino Chassidico Rav Nissan David Dubov ha pensato di spiegarci questo concetto con la METAFORA DELL’ARANCIA.
Allo stesso modo funzionano le cose quando parliamo del Male, ci dice Rav Dubov.
La Kabbalah distingue qui un VOLERE INTERNO (Pnimiyut haRatzon) dal VOLERE ESTERNO (Chitzoniut haRatzon).
Cioè, se per esempio io fossi un assicuratore e fossi da un cliente per convincerlo a stipulare una polizza la mia volontà esterna dice: “OK, vediamo di chiudere questa polizza.”. Quella interna però dice “Ecco qui un’occasione perfetta per guadagnare quei 3.000 euro per portare la famiglia in vacanza quest’estate”. Banalizzando.
La cosa importante su cui vorrei che ci focalizzassimo ora è quella per cui, secondo la Kabbalah degli Ḥassidim, la Kelipah trae origine e si dirama dalla volontà esterna di D-o, mentre la Kadushà (Santità) si dirama dalla sola volontà interna di D-o.
Tutte le cose di questo mondo possono essere così suddivise a seconda della loro appartenenza ad uno dei due “campi”: al SITRA D’KEDUSHAH o lato della santità al SITRA AḤRA o “altro lato”, il lato del male e dell’impurità.
O da una parte o dall’altra. Così per ogni pensiero, parola, azione, e creazione. Tertium non datur.
La Santità abita in seno a D-o dall’Eternità ed ha la sua estensione vivificante come Ruach HaEl-kim, che regge e vivifica questo mondo che, per essere operante, si affida in questa dimensione alle mani di chi riesce a mostrare verso D-o una capacità di totale abnegazione e resa incondizionata, serena e gioiosa alla sua volontà (in arabo = islam) e la capacità di amore incondizionato anche al prezzo del completo sacrificio di sé.
Questa è la qualità propria degli Angeli e dei Giusti (Tzadikim).
Per questo il Talmud ci dice che anche quando un singolo uomo, fosse l’unico e solo in quel momento sulla faccia della terra a farlo, si siede e legge la Torah, la Shechìnah di D-o, scende dal Cielo per lui e si siede al suo fianco sorridente.
Ma tutto ciò che invece non si arrende alla volontà di D-o, ma al contrario, pervaso del proprio ego resiste nel voler restare una separata entità con un suo progetto individuale, non riceve il suo soffio vitale dalla parte interna, quella santa, cioè della volontà di D-o, ma da quella esterna, cioè da quella realtà che emana, caotica, per così dire dalla “porta posteriore” dell’Essere.
Questa è una forza vitale che scende dai cieli degradandosi rapidamente nel passaggio, attraverso la miriade di livelli intermedi ed innumerevoli contrazioni, tanto che alla fine la Luce di partenza è così flebile da poter essere compressa e racchiusa nelle forme del Male, che altro non è che la forma della Luce che si è separata da HaShem e che è ora nelle forme proprie del suo Esilio da Lui.
Ma non tutte queste forme sono uguali. La Kabbalah Ḥassidica infatti ci dice che le Kelipot si distinguono per natura in due categorie ben distinte:
- Kelipot Nogah (sono 7)
- Shalosh Kelipot Hatmayiot (sono 3)
Le prime sono scorie impure che trattengono comunque ancora della Luce Divina, che può essere risollevata dal luogo ove era caduta, e quindi ripulita e raffinata (Le sette Qliphot inferiori che corrispondono alle sette Sephirot inferiori dell’Etz Chiyym, l’Albero della Vita).
Le altre sono invece le scorie totalmente impure, insuscettibili di qualsiasi rettificazione. Per liberarsene, il Mondo deve attendere la loro eventuale distruzione ad opera di D-o stesso. Esse sono le Prime Tre Qliphot, che corrispondono alle scorie negative antagoniste rispettivamente a Keter, Chokmah e Binah, e cioè alla Trinità attraverso la quale HaShem esprime il suo Essere Conoscibile nel Mondo.
Nella visione della Merkhavah di Ezechiele – il racconto da parte del profeta della sua contemplazione miracolosa dell’immagine del carro Divino, ove l’Eterno assiso in trono e circondato dagli Angeli sovrintende al movimento delle Ruote che generano la Realtà dell’Universo - le Tre Qliphot Shalosh sono presenti sulla scena metaforizzate nelle tre forme:
- del “Gran Turbine di Vento”,
- della “Grande ed Oscura Nube”
- e del “Grande Fuoco Avvampante”.
È ovvio che queste tre sono solo una metafora che si riferisce a precisi atteggiamenti mentali ed emotivi dell’Uomo.
- Arrendersi all’irruzione del Chaos nei pensieri e rinuncia al filtro della recta ratio;
- Allontanarsi dalla Luce e conseguente obnubilamento ed oblio della fede, dell’amore e dei valori fondanti.
- Smarrimento dell’anima;
- Esplosione di una vampata di Rabbia cieca e distruttiva.
Questa è solo una delle possibili letture di queste complesse metafore polisemiche.
Da queste tre manifestazioni del Male discende tutto ciò che è TUMAH (= del tutto impuro ritualmente), opposto a TAHRAH, (= puro ed accettabile davanti a D-o); per esempio tutto ciò che NON è Kosher, oppure tutte quelle azioni, manifestazioni, parole e pensieri che sono oggetto dei 365 COMANDAMENTI NEGATIVI della Legge ebraica.
Ma quando passiamo ad analizzare le Kelipot Nogah ecco che arriva la parte sorprendente di questa storia.
Dice il Rav Dumov:
Ed eccoci, dunque, ritornati di nuovo nel mondo della dualità. Questo perché D-o creò “l’una cosa opposta all’altra”, come solennemente ci attesta il Talmud, al di là di ogni dubbio.
Ed anche l’Anima Umana – o meglio l’anima dell’Ebreo Osservante dicono gli Ḥassidim – è anch’essa stata strutturata in modo dualistico. Da un lato la su Nefesh Elokit, dotata di 10 divine facoltà che sono l’impronta ontologica corrispondente alle Sephirot da cui promanano Nephesh HaBahamit, le cui 10 proprietà derivano invece dalle Q’liphot Nogah.
Questa situazione determina tutte le dinamiche etiche, psicologiche ed emotive tipiche dell’animo umano e di cui tutti noi abbiamo, a mia esperienza e conoscenza, dinamiche di CONFLITTO.
Infatti mentre la Nefesh Elokit tende alla rettificazione dell’Uomo ed al suo ricongiungimento al lato della Kadushah, che si trova alla destra dell’Eterno dei Giorni, la Nefesh HaBahamit al contrario guarda indietro, ai desideri egoistici di separazione e di soddisfazione particolare e materiale di Sé, come è naturale che sia per via della sua derivazione dalle Q’liphot Nogah, traslucide ma impure.
Nelle metafore tipiche del linguaggio dei cabalisti queste due tendenze vengono chiamate “Abiti” o “Vestiti dell’Anima”. La nostra scelta quotidiana sarà quella di rivestire la nostra anima di panni mondani per poi pensare, agire e perseguire i modi mondani oppure di abbigliarla delle vesti luminose dello spirito, per pensare ed agire a servizio del divino e nel perseguimento del Dirah Ha Tachtonim.
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Conclusioni della Parte V
Se quanto detto finora in questa parte quinta ci ha utilmente inquadrato il campo di gioco e le regole dell’Etica e cioè la parte pratica e comportamentista del problema della dialettica Bene-Male, adesso dobbiamo necessariamente tentare la strada di una comprensione ontologica del fenomeno. E questa è un’impresa assolutamente ai limiti delle possibilità dell’intelligenza umana. Infatti significa niente di meno che andare ad esaminare ed apprezzare le scelte fatte da D-o quando nella sua Mente Infinita ha deciso di concepire e quindi realizzare l’Universo secondo certe peculiarissime modalità di manifestazione su molteplici livelli di estrinsecazione causale della sua Volontà. L’esperienza ci insegna a percorrere la Via della Kabbalah utilizzando, al bisogno, anche altri divini strumenti preparati provvidenzialmente per l’ascesi dell’Uomo. L’immaginativa naturante fa sicuramente spicco fra tutte queste speciali facoltà. È ad essa a cui dovremo appellarci per poter seguire veramente con tutta l’attenzione possibile ed il corrispondente esercizio dello sguardo interiore quanto seguirà.
Poiché la Qabbalah è una tradizione sapienziale che ci ha tramandato l’esistenza di quattro mondi (secondo i Lurianici sono 5 mondi comprendendo fra essi, in apice e al di sopra ad Atzilut, il cosiddetto Mondo di Adam Qadmon) nonché la nozione per cui ogni cosa esistente in questo nostro mondo di A’ssiyah, ha la sua origine in una corrispondente realtà esistente nei mondi superiori di Yetzirah, B’ryiah ed Atzilut….
…. allora, si chiesero gli Ḥassidim, da dove derivano in origine le Kelipot, la Nefesh HaBahamit ed il Sitra Atra che noi incontriamo e di cui facciamo l’amara e dura esperienza nelle nostre vite? Come può ciò che È oggettivamente Male, essere disceso in Terra dall’unica realtà esistente al di là delle illusioni e delle apparenze, che sappiamo essere nient’altro che D-o?
Per tentare di dare una possibile e credibile risposta, bisogna passare la soglia dell’intelligenza puramente razionale ordinaria, per entrare nel Mondo della Kabbalah Lurianica, così come contemplata nella visione estatica dall’AR”I.
Infine, che cosa significa dunque la formula citata nel titolo “Dolore nella Gioia e Gioia nel Dolore”?
Quanto abbiamo esposto finora, dovrebbe avere illuminato questo aspetto. Questa consapevolezza è un dono che la cultura Ḥassidica ha fatto a tutta l’umanità. Per andare avanti verso il conseguimento di una vita che abbia significato, è fondamentale ricordare che niente qui è assoluto. Anche nel dolore più annichilente c’è una fiamma che ci fa luce e ci guida. Nei vagoni dei treni per Auschwitz ed ogni altro simile inferno, le persone pregavano, si formavano i minyan e lo Shabbat era osservato. L’umorismo ebraico stesso è l’improbabile frutto dolce dell’arte della sopravvivenza in un mondo amaro, una sorta di notte senza fine spesso popolata di incubi e paure. All’opposto, durante la celebrazione delle nozze ebraiche sotto la Ḥuppah, nel momento culminante della commozione e della gioia per la nuova unione e per l’inizio di una nuova vita, lo sposo deve calpestare con tutta la forza un bicchiere di vetro avvolto in un telo.
Lo deve frantumare completamente. È il ricordo della Distruzione del Tempio, della provvisorietà caduca delle cose di questa vita, del fatto che nulla possa essere raggiunto senza rinunciare a qualcos’altro. Prendere e Lasciare. Sapere quando e cosa prendere e quando e cosa lasciare.
Dolore nella Gioia. Gioia nel Dolore: per chi accetti con gioia e serenità questa divina legge del Mondo nessun limite è precluso alla riunificazione nella Luce.
Shalom a tutti.
Fabrizio Piola