Il mondo dei complotti: Scemi si nasce

Il mondo dei complotti: Scemi si nasce

Bruno Corzino

“Scemi si nasce”, ma poi ci si addestra con metodo. Il complottista, al contrario, è colui che un giorno si accorge che il mondo non funziona come gli è stato raccontato. E invece di ridere con il gregge, resta in silenzio e comincia a chiedere “perché”. Il problema non è l’ignoranza: è l’arroganza di chi la chiama “pensiero critico” mentre ripete a memoria il telegiornale. La vera stupidità non è credere a un complotto, ma credere che non ce ne siano. E che l’autorità, qualsiasi essa sia, sia sempre nel giusto. (Introduzione a cura dell’Editore)

Ora, uno potrebbe dire che sono troppo duro con gli addormentati, gli “utili idioti”, le pecorelle o come li si voglia chiamare. Che disegno un mondo in bianco e nero, dove c’è una scissione netta tra rimbambiti e consapevoli. Certamente avrebbe ragione e per questo voglio fare delle precisazioni. Ovviamente non esiste nessuna distinzione netta, una persona può essere consapevole di un aspetto e invece non vedere o accettare passivamente un altro. Oppure la stessa persona può per molti anni vivere in maniera addormentata e solo a causa di un evento particolare (o vari) “aprire gli occhi”. Così è successo anche a me e così succede per forza di cose a tutti, dal momento che nasciamo immersi in un mare di menzogne stratificate, di convenzioni e di traumi famigliari e sociali.

E che la priorità è sopravvivere, così come emulare i nostri genitori, la cerchia degli amici, dei colleghi ecc. Gettiamo la maggior parte delle nostre energie e del nostro tempo nel lavoro per sopravvivere e stare bene. Per cui spesso non ne rimane per riflettere, farsi domande e cercare informazioni. Perché queste attività, assolutamente necessarie per negare la ripetizione meccanica di comportamenti e idee sbagliati, richiedono sia tempo che energie. Per cui non rimane altro che continuare a ripetere e obbedire senza avere nemmeno coscienza di essere immersi nella manipolazione, come il pesce non si accorge dell’acqua.

In altre parole nessuno nasce “sveglio”. Tutti nasciamo “addormentati”, immersi fino al collo nel liquame della meccanicità, dell’imitare gli altri senza riflessione né volontà proprie, del ripetere le menzogne della “verità ufficiale” del momento e difenderle a spada tratta. Alcuni hanno la fortuna-sfortuna di trovarsi in situazioni (sempre traumatiche e dolorose, perché nella comodità si dorme) che li fanno sobbalzare e prendere coscienza di un aspetto o altro che non avevano mai “visto” prima. Detto questo i miei sentimenti negativi per le pecore non sono alleviati, soprattutto vista la quantità di violenza e dolore che, a causa della loro ignoranza e stupidità, infliggono sugli altri.

Un giorno portai un mio vecchio compagno dell’università all’esasperazione perché, avendogli consigliato un libro, mi disse che non lo avrebbe letto perché l’autore non era laureato in biologia ma in antropologia. Al che risposi che forse era il caso prima di leggerlo e prendere nota del contenuto e poi giudicare se era valido o no. Pieno di collera lui rispose che no, lui poteva solo leggere un libro scritto da chi aveva la laurea nel tema segnalato perché lui “non aveva i titoli” per capire dell’argomento e quindi poteva solo credere a quello che scriveva uno che era riconosciuto dall’autorità intendersi in quel campo. Stupefatto dall’idiozia di questa posizione ne nacque una discussione che per l’appunto sfiancò questo personaggio. Portato al limite, ad un certo punto fece cadere la maschera facendo una confessione assoluta: “Il senso critico è sapere che la verità è quello che dice la gente che ha i titoli conferiti dall’autorità in quel campo”. Per me fu un’illuminazione perché finalmente ecco qui, nudo e crudo, il nocciolo del discorso. Il grido disperato di una persona compromessa che trae tutta la sua importanza personale (e quindi la possibilità di sopravvivere) dall’appartenere (anche solo con la fantasia) al gruppo di “quelli che hanno studiato”, degli autodefiniti “intelligenti”. Senza quel “titolo”, senza l’appartenenza e l’appoggio del gruppo si sente un nulla, si sente di morire, come un bambino lasciato solo dalla tribù in un bosco inospitale in cui non è in grado di sopravvivere. Ecco, è tutto qua il grande discorso, le mille maschere intellettuali per coprire un semplice grido di bisogno radicato negli strati più profondi della psiche e dell’infanzia.

D’altronde anche Wikipedia chiama, in maniera molto onesta, “controllo d’autorità” l’attività di censura che si assicura che i contenuti siano in linea con la narrazione ufficiale del momento. Il “senso critico” diventa quindi una semplice adesione alle norme del gruppo e questo senza che non si mettano nemmeno a ridere di fronte all’evidente ironia. Il paradosso continua, perché, ovviamente, quello che usa il termine “complottista” e si mette il cappello di stagnola in testa per prendere in giro e bullizzare ma non sa da dove viene o perché è stato inventato si sente quello intelligente, mentre lo stupido sarebbe quello che si fa la domanda e lo scopre. Fare parte del gruppo di “quelli intelligenti” o “buoni” non ha dunque nessuna connessione con l’intelligenza effettiva o la moralità delle azioni del soggetto, ma bensì soltanto alla sua aderenza ai tabù e alla narrazione dell’autorità del gruppo. Poi può anche essere un imbecille e una persona orrenda ma tramite la sua lealtà alla dottrina e al suo bullismo contro chi osa metterla in dubbio conquista lo status di “intelligente” e “buono”.

Luminare e buonissimo è poi chi, nella lotta contro i nemici del gregge, fa ricoverare in manicomio lo studioso che osa dire che lavarsi le mani prima di fare un’operazione è una buona idea (Sammelweiss), suicidare quello che, pur essendo eroe nazionale, va contro la morale sessuale del momento (Turing) e caccia dal lavoro un altro famoso a livello mondiale perché i suoi antenati appartenevano alla fede religiosa sbagliata (Schrödinger). Il bullismo e la violenza perpetrati da coloro che si sentono in dovere di difendere il proprio gregge di appartenenza sono continui ed endogeni. La cosa più triste è che i seguitori della narrazione comune, non interessandosi a nulla al di fuori di essa, non si accorgono nemmeno di come lo studioso venga licenziato e diffamato, il vicino perda il lavoro e non possa entrare in luoghi pubblici per le sue idee, che il suicida non era un suo pericoloso nemico ma semplicemente uno che ha osato fare la domanda sbagliata al momento sbagliato. Per lui tutto questo non esiste, dal momento che il suo gruppo sociale e le notizie che segue (ovviamente) non lo riportano.

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